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l'analisi

La riforma fiscale e le contraddizioni sull'equità orizzontale

Leonzio Rizzo

Nella legge viene ribadito il principio secondo cui soggetti che guadagnano lo stesso ammontare di reddito devono essere trattati in modo uguale a prescindere dalla natura dei loro redditi. Ma ci sono dei buchi: il trattamento fiscale riservato a lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti resta svantaggioso per i secondi

Il 16 marzo è stato licenziato dal consiglio dei ministri il disegno di legge delega per la riforma fiscale. Come ogni legge delega, essa contiene di fatto dei principi generali a cui dovranno ispirarsi i decreti delegati che tradurranno nel concreto la riforma. La riforma è molto ampia e si propone principalmente di cambiare la struttura dell’Irpef, diminuire l’Ires per chi investe, superare l’Irap con l’introduzione di una sovrimposta sui profitti e rimodulare alcuni meccanismi dell’Iva. La delega prevede poi di intervenire semplificando procedimenti e sanzioni dei contribuenti.

In quanto all’Irpef, l’obiettivo finale è quello di arrivare in cinque anni a una tassazione con aliquota unica (Flat tax), che elimini quindi la tassazione per scaglioni. 

Si dichiara poi di voler attuare una riforma che persegua l’equità orizzontale tra i contribuenti. A tal fine ci sono alcune specifiche prescrizioni. Tra queste, ci si preoccupa, ad esempio, della disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti e pensionati in relazione alle detrazioni per fonte di reddito concesse, auspicandone un allineamento. Sarebbe anche il caso di prevedere un adeguamento con le detrazioni per lavoro autonomo. Si prospetta la possibilità per il lavoratore dipendente di poter fruire della deduzione delle spese sostenute per la produzione del reddito. Ciò eliminerebbe l’attuale disparità di trattamento con il lavoratore autonomo a cui è consentito di portare in deduzione i costi sostenuti per la propria attività. Si prevede anche di inserire nel reddito complessivo rilevante ai fini delle detrazioni per fonte di reddito anche i redditi soggetti a tassazione sostitutiva dell’Irpef, escludendo però i redditi di natura finanziaria. Ciò permetterebbe di non discriminare i contribuenti in base ad alcune tipologie di reddito. Vi è quindi un’attenzione particolare ad alcune iniquità orizzontali che forse però non sono quelle che creano differenze estremamente rilevanti in termini di risorse disponibili. 

Vi sono però altri casi di iniquità orizzontali non toccati dalla legge delega. Quello più rilevante, su cui si tace, è il differente trattamento fiscale riservato a lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. Attualmente, infatti, chi ha un reddito da lavoro autonomo e consegue un fatturato, ad esempio, sotto gli 85 mila euro (l’ultima legge di bilancio ha portato la soglia da 65 mila a 85 mila euro) è soggetto a un’imposta del 15 per cento sul suo reddito lordo (5 per cento nei primi cinque anni di attività). Ciò vuol dire ad esempio che un professionista con un fatturato, al netto dei contributi, di 80 mila euro all’anno, a cui, applicando l’attuale coefficiente di redditività (78 per cento) previsto dalla  legge, corrisponde un reddito di 62.400 euro, viene tassato con un’aliquota del 15 per cento. Un lavoratore dipendente con lo stesso reddito è invece tassato distribuendo il suo reddito nei vari scaglioni Irpef, fino ad arrivare a quello a cui corrisponde un’aliquota del 43 per cento. Il lavoratore autonomo suddetto, con la Flat tax al 15 per cento paga un’imposta di 9.360 euro. Un lavoratore dipendente, con identico reddito, con l’attuale sistema a quattro scaglioni Irpef, tenuto conto della media delle detrazioni di cui usufruirebbe (dati Mef), pagherebbe circa 18 mila euro: il 29 per cento del suo reddito lordo contro il 15 per cento pagato dal lavoratore autonomo. Quasi il doppio. Tra i due ci sarebbe  una differenza di imposta pari a 8.640 euro. 

Alcuni sostengono che in realtà non ci sia alcuna iniquità orizzontale in tutto ciò poiché il minor livello di tassazione del lavoratore autonomo rispetto a un lavoratore dipendente è giustificato dal rischio d’impresa corso dal lavoratore autonomo. Ma è giusto che la collettività paghi il rischio d’impresa? Chi decide di fare impresa lo deve fare perché pensa che il rischio che corre sia remunerato dai guadagni attesi e non da un trattamento fiscale di favore. Questa eclatante differenza di trattamento persisterebbe anche una volta implementata la delega. 

L’unica soluzione prospettata dalla legge delega, non di certo nel breve periodo, ma di fatto tra cinque anni, consiste nella estensione della Flat tax a tutti contribuenti.  Ma veramente è credibile pensare che l’Italia potrà avere un’imposta sul reddito delle persone fisiche con un’aliquota al 15 per cento per tutti i contribuenti, comprensiva di detrazioni o deduzioni? Se sì, bisognerebbe però anche dire dove si intende trovare le risorse: un sistema del genere è stato mostrato essere finanziariamente insostenibile (Baldini e Rizzo su lavoce.info), poiché verrebbe meno un terzo dell’attuale gettito Irpef.

Questa iniquità orizzontale tra lavoro autonomo e lavoro dipendente dovrebbe essere seriamente affrontata dai decreti delegati che seguiranno la legge delega se si vuole realmente rispettare il principio ribadito nella stessa legge di equità orizzontale: ovvero, soggetti che guadagnano lo stesso ammontare di reddito devono essere trattati in modo uguale a prescindere dalla natura dei loro redditi.

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