Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni (Ansa)

la riforma

La delega fiscale razionalizza quasi tutti i tributi. La sua attuazione non sarà semplice

Stefano Firpo

Investe la disciplina di accertamento e riscossione, il contenzioso, i profili delle sanzioni amministrative e penali, oltre alla problematica del rapporto fra processo penale e tributario. Si tratta di un progetto ambizioso, il cui persorso da portare a termine nei prossimi anni presenta tante opportunità, ma anche rischi

La delega fiscale, approvata dal governo, propone un disegno di riforma ampio e articolato. Si occupa di tutti o quasi tutti i tributi. Investe la disciplina di accertamento e riscossione, il contenzioso, i profili delle sanzioni amministrative e penali e la problematica del rapporto fra processo penale e tributario.  Si tratta di un progetto ambizioso, il cui percorso di attuazione non sarà semplice da portare a compimento nei prossimi anni. 

 

Per quanto riguarda la tassazione del reddito d’impresa su cui qui si focalizza l’attenzione, l’orientamento della delega è certamente animato da una volontà di razionalizzazione e semplificazione per rendere il nostro sistema più competitivo nel favorire gli investimenti (anche di provenienza estera) e più coerente con il diritto tributario internazionale, migliorando la certezza del diritto in materia fiscale attraverso una più adeguata tutela del legittimo affidamento dei contribuenti. Con uno Statuto del contribuente spesso disatteso, è proprio su affidabilità e prevedibilità, più che sulle aliquote di imposizione fiscale, che il fisco italiano ha urgente bisogno di migliorare. Non mancano poi indirizzi tesi al rafforzamento degli strumenti di accertamento dell’evasione e dell’elusione, attraverso la piena interoperabilità delle banche dati in possesso dell’amministrazione finanziaria.


Tuttavia è da sottolineare come la prevenzione e la riduzione dei fenomeni evasivi ed elusivi viene anche affidata al potenziamento agli istituti di collaborazione tra amministrazione finanziaria e contribuenti. Qui risiede uno dei maggiori punti di forza di questa riforma, ovvero favorire con decisione quel cambiamento culturale fra gli attori del rapporto tributario che può portare, sperabilmente, il nostro sistema a essere più business friendly e a recuperare gli svantaggi competitivi che si sono accumulati rispetto ad altri paesi. Qui, particolare attenzione è stata posta dalla delega al rafforzamento dell’istituto della cooperative compliance ampliandone i benefici e prevedendone l’estensione a una platea più ampia di contribuenti. 

 

Concentrando l’analisi sulle linee di riforma dell’Ires, probabilmente la modifica più importante è quella che prevede la riduzione dell’aliquota d’imposta per le imprese che effettuano investimenti qualificati o assunzioni entro i due anni successivi a quello in cui è stato prodotto il reddito e sempre entro tale biennio non distribuiscono il relativo utile. Si tratta di un meccanismo agevolativo particolare e in un certo senso innovativo in quanto prevede un’immediata riduzione dell’aliquota Ires sul reddito d’impresa sottoposta, però, alla condizione risolutiva del mancato investimento o della distribuzione dell’utile nel successivo biennio.

La finalità è chiara: porre subito le imprese davanti all’opportunità di investire per non subire ex post il recupero dell’imposta. Tuttavia tale particolare meccanismo di possibile tassazione ex post non è esente da qualche difficoltà di applicazione. Si pensi alla complessità e possibile invasività dei controlli ex post sull’effettiva realizzazione degli investimenti qualificati, o ai possibili arbitraggi tesi a distribuire dopo due anni gli utili posti a riserva derivanti da redditi su cui si è ormai acquisito il beneficio dell’aliquota ridotta.  Criticità attuative di un certo peso che non sembrano andare nella direzione della semplificazione e che dovranno essere chiarite nel percorso attuativo. 

 

E’ utile poi evidenziare che con questa nuova agevolazione dovranno essere coordinate quelle attualmente esistenti: il patent box, l’Ace, i crediti d’imposta per investimenti in beni strumentali e quelli sulla R&S, solo per citare i più conosciuti. E’ molto probabile che alcuni degli attuali incentivi dovranno considerarsi sostituiti dalla nuova previsione. Tuttavia la delega poco o nulla dice su questo aspetto. Un coordinamento con il ddl di delega sugli incentivi alle imprese, licenziato dal governo a fine febbraio, andrà necessariamente trovato. Non va dimenticato, infatti, che molti incentivi – pensiamo ai crediti di imposta – oggi agiscono indipendentemente dalla presenza di un imponibile Ires e che la delega – per espressa previsione – non può comportare né un incremento della pressione fiscale, né tanto meno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Un coordinamento dovrà infine prevedersi con l’attuazione della direttiva sul c.d. Pillar 2 che, come è noto, introduce un’imposta integrativa per i gruppi con fatturato pari o superiore a 750 milioni relativamente alle constituent entities sottoposte nella giurisdizione di residenza a una imposizione effettiva inferiore al 15 per cento.

 

Un altro aspetto da approfondire riguarda “il graduale superamento” dell’Irap nella prospettiva della sua sostituzione con un nuovo tributo che assicuri un gettito equivalente. Dall’indicazione della delega emerge che questo tributo si configurerà come una sovraimposta dell’Ires; tuttavia, assoggettare solo i contribuenti Ires a tale tassazione potrebbe essere particolarmente oneroso per alcuni, comportando una intensificazione della pressione fiscale su un bacino più ristretto di imprese societarie. Questo effetto redistributivo non neutro è un altro aspetto delicato che merita di essere preso in seria considerazione.

 

Stefano Firpo, direttore generale di Assonime

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