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alleanza simbolica

L'accordo tra fiera di Milano e di Parma può essere l'esempio, e il metodo, per il rilancio del Nord

Dario Di Vico

Non solo una razionalizzazione dell’offerta fieristica esistente ma un’ipotesi di sfida ai leader europei del settore. La capitale del sapere e il “contado” industriale. Futuri possibili

Finalmente. L’auspicata alleanza tra le fiere di Milano e Parma è andata in porto con reciproca soddisfazione, appoggio bipartisan della politica e soprattutto con l’individuazione di un progetto industriale che crea valore aggiunto. Insomma non solo una razionalizzazione dell’offerta fieristica esistente ma un’ipotesi di sfida ai leader europei del settore, tedeschi e francesi. Nei sogni milanesi c’è quello di replicare, nelle forme che si renderanno possibili, lo straordinario successo del Salone del mobile. Per avvicinarsi a quel benchmark però ci sarà molto da lavorare in termini di innovazione e fantasia. Vedremo. Il contesto culturale è favorevole perché, ancora più dell’arredo, il food è diventato materia prettamente identitaria, ci si definisce anche per ciò che si mangia e quindi i presupposti di un coinvolgimento popolare attorno alle manifestazioni fieristiche ci sono tutti. Servirà un format che in qualche maniera sorprenda e non sia solo il parto dell’ennesima week cittadina. Ma riconosciuto ai Cesare (i vertici delle due fiere) ciò che spetta loro, va detto che l’intesa Cibus va ben al di là degli aspetti commerciali di cui sopra.

  

È una dimostrazione di Milano di non voler prescindere dai territori e di saper costruire alleanze che non umilino il contado e anzi lo rendano partecipe di una sfida comune. Non sempre in passato è avvenuto così a cominciare dai tempi – fortunatamente lontani – in cui gli uomini del private equity battevano la provincia alla ricerca di famiglie imprenditoriali in cui seminare zizzania, imporre il verbo della finanza e conquistarne le aziende. Poi sono arrivati gli anni del dopo-Expo nei quali la metropoli ha allungato il passo, ha fatto il pieno degli investimenti immobiliari e ha finito per snobbare il nord, dimenticando che se la stella di Milano può splendere è anche perché attorno e lungo l’autostrada del pil (la A4) esiste un cospicuo numero di multinazionali tascabili, distretti ancora vitalissimi e sono nate in risposta alla Grande crisi del 2008-15 filiere industriali capaci di mixare competenze e flessibilità. Casomai, davanti all’impegno del contado manifatturiero la metropoli non ha saputo onorare la promessa di costruire un vero terziario europeo che non si limitasse al mattone ma sapesse strutturare un’offerta di servizi di caratura  continentale. E non l’attuale regno del massimo ribasso.

 

Oggi Milano ha davanti a sé l’esigenza di accorciare un doppia corsia di distanze, quella che la allontana dai territori e quella che al suo interno vede allargarsi la polarizzazione e i rischi di fratture sociali. Per affrontarle entrambe c’è bisogno di una visione di sistema che fatica a emergere. Mutuando il gergo dei telecronisti si potrebbe dire che la città sembra quasi affidarsi “all’inerzia della partita”, metafora che da un lato vuol dire assecondare la tendenza primatistica comune alle città globali e dall’altro contare ancora su uno sgocciolamento di ricchezza per attenuare le diseguaglianze. Non credo però francamente che esistano meccanismi semiautomatici di questa natura, quindi penso che la palla debba tornare alla soggettività politico-culturale delle élite cittadine. Da qui l’accento su Milano-Parma e sul suo valore simbolico. Molte altre alleanze possono essere costruite. Gli esempi da fare non mancano. Bisognerà vedere, ad esempio, cosa riusciranno a produrre in termini di discontinuità Bergamo e Brescia al termine del loro anno di Capitali della cultura e che raccordo di tipo nuovo si potrà implementare con la metropoli. Un parco scientifico come il Kilometro Rosso, ad esempio, non meriterebbe maggiore attenzione da parte di Milano? Quanto poi al corridoio Milano-Bologna i capitoli di un’alleanza sono numerosi: dall’integrazione dell’offerta fieristica alle scelte per la logistica, dallo sviluppo parallelo di due cittadelle della scienza alle strategie di attrazione delle rispettive università. Le occasioni, dunque, non mancano, le idee qua e là sono già nero su bianco, quello che sembra latitare è uno sforzo di sistema che veda coinvolti direttamente i “soggetti forti” della città e aiuti le istituzioni a uscire dalla loro splendida solitudine. E anche da un certo culto dell’autosufficienza. Se la metropoli lombarda fosse un partito politico, quelli di una volta per carità, verrebbe da dire che ha bisogno di celebrare il suo congresso. Per decidere se vuol essere Milano-Mattone o Milano-Sapere e per tessere, nel secondo caso, la tela delle alleanze necessarie.

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