Foto di Franco Lannino, via Ansa 

parallelismi

Perché la storia del depuratore di Priolo è un déjà vu del caso Ilva

Annarita Digiorgio

Il caso del polo petrolchimico siciliano è per molti versi simile a quello tarantino. Si tratta di una sorta di copertura giuridica di cui godono i siti di interesse strategico nazionale 

Il voto di fiducia di ieri sul decreto non risolve il problema industriale dell’Ilva, ma offre una copertura giuridica a tutti i siti di interesse strategico nazionale. C’è un altro caso per molti aspetti identico a quello tarantino: il polo petrolchimico di Priolo in Sicilia. Non solo lo stabilimento Isab, già in bilico per la proprietà russa, ma tutto il complesso siracusano che include altre gradi industrie è messo a rischio dallo stop imposto dalla procura di Siracusa al depuratore consortile. Si chiama Ias (Industria acqua siracusana), è di proprietà della regione Sicilia attraverso una quota del 56 per cento di Asi Siracusa (in liquidazione), mentre gli altri soci sono i comuni di Priolo e Melilli e le società Sonatrach, Isab, Sasol ed Eni Versalis. Ma attualmente è in mano a un amministratore giudiziario nominato dal tribunale. 

 

Come con Ilva tutto inizia con l’ordinanza di un gip, che il 5 maggio 2022 ne ordina il sequestro, lasciando la facoltà d’uso ai comuni ma togliendola alle industrie. L’accusa è disastro ambientale aggravato e inquinamento atmosferico e marino. Dalla procura emerge che il depuratore è sprovvisto di Aia, l’autorizzazione ambientale che, come per Ilva, è necessaria per i grandi impianti. A quel punto la regione, in soli 15 giorni, vara un’Aia che impone 58 prescrizioni in tre mesi. L’amministratore giudiziario, però, anzichè attenersi scrupolosamente all’ordinanza del gip, ha consentito il proseguimento del trattamento dei reflui industriali, per cui il 3 ottobre il gip lo sostituisce.

 

Le prescrizioni comportano un investimento di 20 milioni, ma l’amministratore scrive che “diverranno superflue laddove verrà accertata la fondatezza dei rilievi dell’Autorità giudiziaria”. Il rischio è di bruciare soldi pubblici in un impianto che rischia di essere chiuso, quindi suggerisce al governo dell’isola di spegnerlo. In sostanza l’amministratore dice alla regione di adeguarsi, la regione vara l’Aia, ma l’amministratore che deve attuarla dice che farlo comporterebbe danno erariale in caso di fermo definitivo da parte della procura. E così fu per l’Afo 2 di Ilva.

 

La prefettura scrive che la concessione dell’Aia “non consente di superare” i rilievi mossi dal gip, con la consequenziale necessità di interrompere l’immissione dei reflui industriali all’impianto Ias.

 

A quel punto, a dicembre, la regione Sicilia ritira l’Aia che aveva concesso in 15 giorni a luglio. L’amministratore giudiziario scrive che “l’avvio del procedimento di revoca Aia rende improcrastinabile l’adozione delle procedure volte alla interruzione dei conferimenti dei reflui industriali”. Le aziende dicono che gli impianti non si possono spegnere facilmente (come gli altoforni). L’amministratore giudiziario dando seguito a espressa ordinanza del gip del 23 dicembre “intima di avviare le operazioni di interruzione dei conferimenti sottolineando che, a prescindere dal termine complessivo che verrà individuato per l’interruzione, occorre iniziare immediatamente”. La procura nomina i consulenti per l’incidente probatorio, tra cui Alfredo Pini, lo stesso che per Ispra verificava l’attuazione dell’Aia in Ilva.

 

In extremis il presidente della regione, Renato Schifani, mette in liquidazione il consorzio Asi Sicilia (proprietario del depuratore) e nomina l’ex magistrato Giovanni Ilarda commissario liquidatore per avviare un’interlocuzione con la procura (come il procuratore di Taranto Capristo faceva con Laghi, commissario di Ilva).

 

Il governo Meloni a gennaio interviene con due decreti d’urgenza: nomina Isab sito di interesse strategico, insieme al depuratore. E ora col decreto Ilva stabilisce che “quando il sequestro ha a oggetto stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività”. Ma se Isab è uno stabilimento di interesse strategico nazionale, perché non lo è anche la vicina Sonatrach?

 

Il ministero dell’Ambiente scrive a tutte le società del polo di Priolo: “Mutando i presupposti su cui si basano le prescrizioni inerenti agli scarichi idrici dell’Aia in oggetto (depuratore), si rende necessario procedere al riesame dell’Aia medesima” di tutte le raffinerie insistenti. E tutte ora hanno fatto ricorso al Tar.

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