conti pubblici

Deficit e Superbonus. La revisione dell'Istat cambia niente e tutto

Luciano Capone

Peggiora il deficit del 2021 (da -7,2 a -9 per cento) e del 2022 (da -5,6 a -8 per cento), ma il cambio contabile ha impatto neutro sui conti. I nuovi criteri di Eurostat, però, costringono il governo a salvare il Bilancio 2023 e porre fine ai bonus folli come il 110 per cento

La tanto temuta revisione dei conti pubblici da parte dell’Istat (insieme all’Eurostat), dovuta alla riclassificazione del Superbonus e del Bonus facciate, è arrivata. Peggiorano notevolmente i dati del deficit dell’ultimo triennio, sebbene con un impatto neutrale nel tempo. Si tratta, in sostanza, solo di un diverso criterio contabile, che non cambia gli oneri pubblici. Così, secondo i dati pubblicati ieri dall’Istituto di statistica, il deficit del 2020 arriva a -9,7% (in peggioramento di 0,2 punti) e quello del 2021 segna -9% (in peggioramento di 1,8 punti). Per il 2022, invece, l’indebitamento netto raggiunge il -8%, con un deterioramento di 2,4 punti rispetto al 5,6% stimato dal governo nella Nadef.

 

Si tratta, complessivamente, di una correzione di 4,4 punti di pil: oltre 80 miliardi di euro. Che corrisponde alla massa di bonus edilizi emessi nel triennio. L’entità di questo cambiamento nella registrazione dei crediti d’imposta spiega bene la necessità, da parte del governo, di intervenire con un decreto “per bloccare gli effetti di una politica scellerata”, come ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

 

Il paradosso di questa storia, però, è che nessuno se ne fosse accorto prima. E che la repentina stretta sul Superbonus sia scattata per una banale modifica dei parametri statistici. Da tempo, cioè da gennaio 2021, Istat ed Eurostat avevano divergenze su come contabilizzare il Superbonus. Fu deciso di lasciare le cose come stavano, in attesa di un chiarimento. Che è arrivato il 1° febbraio 2023 con il nuovo manuale di Eurostat: secondo le nuove regole, se i crediti fiscali sono facilmente cedibili, differibili e capaci di compensare molte imposte (proprio come il Superbonus) allora vanno ritenuti payable, cioè analoghi alla spesa pubblica, e quindi contabilizzati integralmente nel primo anno anziché pro rata per la durata del bonus.

 

Dal punto di vista economico non cambia nulla: il costo resta lo stesso, e alla fine della durata del credito fiscale anche il livello di deficit e debito. Ma dal punto di vista politico cambia tutto: perché il nuovo sistema contabile non consente di spostare il deficit in avanti, ma obbliga il governo a scrivere subito a bilancio il costo complessivo dei sussidi, mostrando un deficit molto elevato. Cosa che diventa ancora più problematica mentre si stanno negoziando le nuove regole fiscali europee, che torneranno operative l’anno prossimo qualunque sarà la loro nuova forma.

 

Pertanto il governo Meloni è intervenuto d’urgenza per evitare che si verifichi anche per il 2023 questo effetto sul deficit. Il decreto che riduce l’entità del bonus e ne blocca la trasferibilità, produce così un duplice effetto. Il primo è formale-contabile: i bonus edilizi tornano a essere dei tradizionali crediti fiscali, e quindi potranno essere registrati come “non pagabili” ovvero spalmati su più anni. Il secondo è economico-sostanziale: le nuove limitazioni sicuramente renderanno il bonus meno allettante, chiudendo così il rubinetto della spesa che era diventata insostenibile (120 miliardi di bonus edilizi in due anni e mezzo).

 

L’impatto sul bilancio 2023 è però al momento ambiguo. Nel senso che ci sarà sicuramente un miglioramento dovuto alla revisione contabile dell’Istat, che peggiora il deficit per il triennio 2020-22 di 4,4 punti e, di conseguenza, migliorerà il dato per il 2023 e per gli anni successivi di almeno 0,5 punti di pil (ovvero un quinto di spesa per Superbonus e un decimo di Bonus facciate che sono stati spostati sui bilanci precedenti). C’è però da considerare l’impatto del Superbonus di gennaio e febbraio, prima del decreto, che verrà imputato tutto sul 2023. Quanto al resto dell’anno, Eurostat dovrà decidere sulla classificazione del Superbonus entro giugno. Ha preso atto del decreto del governo, che cambia completamente il meccanismo della cessione del credito, ma resta alla finestra per vedere se verrà convertito in legge così com’è. Una ragione in più per il governo per resistere alle spinte parlamentari in senso contrario.

 

Sembra assurda una reazione così forte a un banale cambiamento statistico, che lascia inalterata la sostanza. Ma in realtà ne fa capire l’importanza. Perché prima quasi tutti, politici e opinione pubblica, pensavano davvero che tutto si facesse “gratuitamente” o quasi. Con una semplice modifica dei criteri di contabilità sono diventati più evidenti anche i costi. La vicenda peraltro dimostra che se fin dall’inizio il governo Conte avesse dovuto registrare in questo modo la spesa, mostrando subito tutto l’impatto sul deficit, il Superbonus non sarebbe mai stato fatto in maniera così sciagurata.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali