Perché la riduzione del taglio delle accise è una scelta giusta e coraggiosa

Luciano Capone

La destra, in particolare Salvini, rinnega anni di promesse e propaganda sulla benzina. Ma la decisione di Meloni e Giorgetti riduce uno sconto molto costoso e iniquo, liberando  risorse per proteggere i più poveri dal caro energia

Ci sono due modi di leggere la cosa. Il primo è quello dell’ennesima giravolta, della promessa tradita o della parola rimangiata: Matteo Salvini da anni garantisce che una volta al governo avrebbe subito tagliato le accise, e invece il suo ritorno nelle vesti di vicepremier coincide con un aumento delle accise già alla prima manovra. L’altro modo è fare una valutazione oggettiva della riduzione del taglio delle accise sui carburanti e ammettere che quella di Giorgia Meloni, e del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è una scelta tanto giusta quanto coraggiosa.

 

Si tratta di una scelta coraggiosa perché ridurre lo sconto delle accise su benzina e diesel – passando dall’attuale taglio di 25 centesimi che, comprensivo di Iva, equivaleva a uno sconto al distributore di 30,5 centesimi, a un taglio di 15 centesimi, che con l’Iva si tradurrà dal primo dicembre in 18,3 centesimi in meno – è una misura altamente impopolare, che scontenta decine di milioni di automobilisti, soprattutto in una fase di crisi legata all’aumento dei prezzi energetici. Non a caso, la decisione del governo è tra le più contestate dalle opposizioni, dal M5s al Pd, cosa che sicuramente avrebbero fatto FdI e Lega a ruoli ribaltati. Cionondimeno, fatta la tara della propaganda e dell’ipocrisia dei partiti, si tratta di un provvedimento giusto e razionale, che probabilmente avrebbe dovuto fare già qualche mese fa il governo Draghi.

 

La prima ragione per contenere gli sconti sulle accise è che costano troppo: circa 1 miliardo di euro al mese, ovvero 12 miliardi all’anno. Per giunta, l’Italia è passata da un eccesso all’altro: se prima sui carburanti avevamo il fisco più esoso d’Europa, con il taglio da 30 centesimi al litro introdotto a partire da marzo 2022 siamo scesi ben al di sotto della media Ue, che per giunta include nazioni con redditi pro capite molto inferiori al nostro. La sforbiciata decisa dal ministro Giorgetti dovrebbe far risparmiare allo stato circa 400 milioni di euro al mese, ovvero quasi 5 miliardi all’anno.

 

La seconda ragione è che i prezzi dei carburanti si sono ridotti di molto rispetto al picco dei mesi passati. Secondo i dati del ministero della Transizione ecologica, il prezzo industriale (al netto delle tasse) del gasolio a ottobre 2022 è di 1,146 euro al litro mentre a giugno era di 1,249 euro. Per la benzina il calo è ancora più significativo: a ottobre 2022 il prezzo industriale è di 0,897 euro al litro mentre a giugno 2022 era di 1,188 euro. In pratica, per la benzina, il cui costo ha subìto meno tensioni rispetto al diesel, il prezzo attuale è quasi sceso ai livelli pre-guerra (0,786 euro al litro a febbraio). Se quindi il prezzo dei carburanti scende ha senso ridurre lo sconto.

 

La terza ragione per contenere questo taglio, la più importante, è che, come altre misure adottate, è un beneficio generalizzato e cioè rivolto a tutti, senza distinzioni di reddito. Questo, però, lo fa diventare un aiuto molto iniquo perché naturalmente sono i più ricchi che consumano una maggiore quantità assoluta di carburanti e, di conseguenza, ottengono un beneficio maggiore pur avendo la capacità per sopportare i costi. Uno studio dell’Ufficio parlamentare di Bilancio sugli effetti distributivi dell’aumento dei prezzi e delle misure di sostegno alle famiglie ha chiaramente mostrato come il 10% più ricco della popolazione abbia beneficiato 6,5 volte di più rispetto al 10% più povero dei 7,7 miliardi di euro spesi da marzo a ottobre per abbassare le accise.

 

La strada da percorrere, per evitare di disperdere soldi, è quella di abbandonare i sussidi generalizzati e disegnare misure specifiche per i più poveri, come i bonus sociali basati sull’Isee o sul reddito. E vanno in questa direzione altre misure adottate dal governo, come il taglio di 3 punti del cuneo fiscale per i redditi più bassi (costo: 4,1 miliardi) o l’allargamento del bonus sociale per l’energia alle famiglie con Isee fino a 15 mila euro. Il governo non può pagare le bollette e il pieno a tutti, di fronte a uno choc del genere non può farlo nessun paese figurarsi uno indebitato come l’Italia. Ciò che può fare, e dovrebbe fare di più, è lasciar passare l’aumento dei prezzi energetici su chi può permettersi di pagarli e concentrare gli sforzi sui più poveri e sulle imprese.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali