Caro energia e i limiti della strategia di Draghi

Luciano Capone

La politica di sussidi generalizzati costa molto e distorce il segnale di prezzo, fondamentale in una fase in cui serve risparmio energetico. Con l'inflazione persistente è il momento di passare ad aiuti mirati ai più poveri: si  deve fare di più per chi ha più bisogno, ma spendendo meno

Il prossimo governo molto probabilmente dovrà cambiare impostazione nel contrasto all’inflazione, passando da aiuti generalizzati a misure più specifiche e targettizzate. Il governo Draghi ha reagito all’aumento dei prezzi iniziato alla fine del 2021 con pacchetti di misure che, solo per coprire l’aumento delle bollette, sono costati 30 miliardi di euro. Il problema è che la gran parte delle misure adottate – dalla compensazione degli oneri di sistema alla riduzione dell’Iva sul gas e al taglio delle accise sui carburanti – sono generalizzate, cioè rivolte a tutti senza distinzioni di reddito. Inoltre, hanno l’altro grande difetto di distorcere il segnale di prezzo, che è fondamentale per ridurre i consumi in una fase in cui il risparmio energetico è indispensabile per reagire al taglio delle forniture russe.

 

La risposta del governo aveva senso all’inizio, quando si pensava che l’inflazione post Covid fosse un fenomeno transitorio, ma dopo la guerra in Ucraina è evidente che con un’inflazione elevata e persistente gli aiuti indiscriminati, prorogati nell’ultimo dl Aiuti, rischiano di diventare insostenibili. Soprattutto perché finora la crescita e le entrate fiscali sono state sopra le aspettative. Ma che succede se, come è probabile, in autunno ci sarà una frenata?

 

La strada da percorrere è quella di abbandonare i sussidi generalizzati e potenziare misure specifiche per le fasce più povere, come ad esempio quelli già adottati dal governo Draghi tipo i bonus sociali (misurati sull’Isee) o il bonus una tantum di 200 euro (basato sul reddito). In sostanza, per limitare l’impatto sulle finanze pubbliche e ridurre i consumi, il governo dovrebbe lasciar passare l’aumento dei prezzi energetici su chi può permettersi di pagarli e concentrare gli sforzi sui più poveri, che hanno una domanda rigida ma non i soldi per pagare le bollette e il pieno. Anche perché, l’aumento dei prezzi dell’energia tende a essere regressivo, ovvero colpisce i poveri più dei ricchi.

 

Uno studio del Fondo monetario internazionale, appena pubblicato, mostra che la famiglia media europea subirà un aumento del costo della vita del 7% rispetto al 2021. Ma l’impatto varia a seconda delle fasce di reddito. In Estonia e Regno Unito, ad esempio, il costo della vita del 20% più povero è aumentato il doppio di quello del 20% più ricco. Anche in Italia questo differenziale è ampio: +7% per il quintile più ricco e +11% per il quintile più povero. Secondo un’analisi dell’Upb, i vari interventi di mitigazione del governo compensano integralmente gli aumenti di spesa per il 10% delle famiglie più povere. Mentre per gli altri decili di reddito la compensazione sarebbe parziale, con una riduzione del potere d’acquisto crescente che in media è pari al 2%. Ma ciò vuol dire che si possono ridurre gli aiuti a chi ha redditi più alti, che può sopportare aumenti di spesa superiori al 2%, per concentrare le risorse su chi guadagna poco.

 

Secondo le stime dello studio del Fmi, compensare completamente la perdita di potere d’acquisto del 20% più povero per l’intero 2022 sarebbe costato al governo italiano circa lo 0,5% del pil e poco più dell’1% per tutto 40% più povero della popolazione. Si potrebbe cioè fare di più per chi ha più bisogno, ma spendendo meno. È la direzione che dovrebbe seguire il prossimo governo.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali