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Perché il gas che arriva dall'America è tanto caro

Lorenzo Borga

Oggi non possiamo farne a meno, ma il prezzo dipende, più che dagli Usa, dagli operatori (europei) che lo importano

Visto che l’Europa non riesce a trovare un accordo sul tetto al prezzo del gas, diversi governi stanno indirizzando le proprie lamentele verso gli Stati Uniti. Colpevoli, a loro dire, di venderci moltissimo gas – quello liquefatto trasportato via nave – ma a prezzi astronomici. Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire negli ultimi giorni ha detto che “non possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo Gnl (gas naturale liquefatto, ndr) a un prezzo quattro volte superiore a quello che vende agli industriali americani”. Parole che avevano seguito i mugugni tedeschi, provenienti da Robert Habeck, vicecancelliere e ministro dell’Economia: “Alcuni paesi, tra cui anche alleati, stanno ottenendo cifre astronomiche per il gas. Questo pone dei problemi che vanno affrontati”. Il gas americano è stato oggetto di numerose polemiche, e ha portato alcuni commentatori a dire perfino che Biden starebbe alimentando il conflitto finanziando l’Ucraina per guadagnarci sull’export energetico verso l’Europa. Suggerirei a costoro di dare uno sguardo ai prezzi della benzina ai distributori americani e agli indici di gradimento di Biden.

   
Ma torniamo al gas. Prima di tutto, va chiarito un punto: senza gas americano oggi in Europa saremmo costretti a chiudere le aziende e organizzare blackout programmati nelle città. Nella prima settimana di ottobre secondo i dati di Entsog – l’operatore della rete del gas europea – il gas liquefatto ha rappresentato più della metà del metano importato in Ue. E secondo diverse stime circa la metà del Gnl proviene proprio dagli Stati Uniti. Si tratta dunque di un apporto fondamentale in questi e nei prossimi mesi.

   
Ma quanto ci sta costando? La differenza di prezzo della stessa molecola di gas negli Stati Uniti e in Europa è enorme: negli Usa in questi giorni costa circa 20 euro a megawattora, mentre in Ue verrebbe pagata fino a 140 euro. Il motivo è che negli Usa il gas lo estraggono in casa e ce n’è in abbondanza, mentre nel Vecchio Continente la carenza è nota a tutti. E’ come se un barista potesse comprare dal fornaio i cornetti a 15 centesimi l’uno, e rivenderli ai propri clienti a 1 euro: un business assicurato. Ma il punto è chi si mette in portafoglio questa enorme differenza di prezzo, che permette un arbitraggio colossale. Non il produttore americano di gas, che lo estrae dal sottosuolo e lo scambia nel mercato Usa. Chi si prende la fetta più grande è invece l’operatore che compra il gas dall’America e lo rivende in Europa. Molto spesso non si tratta di aziende americane, anzi secondo l’ultimo bollettino dell’Agenzia delle Dogane ad aver importato in Italia la gran parte del gas liquefatto sono state società europee (tra agosto e luglio circa il 75 per cento). Società che secondo l’Agenzia sono riconducibili a “grandi realtà francesi e olandesi”, un identikit che per fonti di mercato fa pensare alle big oil Total e Shell, tra i più importanti operatori globali del Gnl. Sono queste le aziende che si mettono in tasca l’enorme differenza di prezzo. A cui vanno tolti i costi di liquefazione sulla costa Usa (circa 12 euro/MWh), quelli di trasporto (altri 8 euro/MWh al massimo) e poi il prezzo richiesto dai rigassificatori per ritrasformare il metano allo stato gassoso (circa 20 €/MWh). Tutto il resto può andare in tasca all’importatore, che come abbiamo visto è molto spesso europeo e per di più francese, come Le Maire dovrebbe sapere. Se effettivamente questo accade dipende dai contratti firmati, e quale prezzo di vendita e di acquisto prevedono.

 
Va pur detto però che il gas liquefatto americano in effetti costa più del metano che importiamo dalla Russia, dall’Azerbaijan e dall’Algeria. E più anche del gas in forma liquida in arrivo dal Qatar. Le differenze di prezzo le mostra ancora una volta l’Agenzia delle Dogane: dagli Usa ad agosto abbiamo comprato il Gnl in media a più di 150 euro a megawattora, mentre lo stesso prodotto in arrivo dal Qatar è costato meno di 100 euro. Per non parlare del gas via tubo, arrivato per poco più di 50 euro (Algeria) e 100 euro (Russia, Norvegia e Azerbaijan) per megawattora. Colpa degli americani? Non proprio. Anche qua i prezzi dipendono dai contratti: se si firmano accordi a lungo termine si può strappare un prezzo più basso, come ha fatto Edison col gas qatarino che arriverà al rigassificatore di Ravenna ancora per anni. Il gas liquefatto americano invece evidentemente viene comprato più nel mercato spot, vale a dire vendendolo al miglior offerente di giorno in giorno. E chiaramente se la nave metaniera si può dirigere in tutto il mondo, la competizione è globale.

  
L’Europa sta pagando qualsiasi prezzo per far arrivare il gas sul continente. Ma i leader europei farebbero meglio a concentrare le proprie attenzioni non sul comportamento di chi ci vende il gas, ma a ridurre i consumi. Perché in un eccesso di domanda è l’unico modo per ridurre i prezzi per famiglie e imprese.