Christine Lagarde (LaPresse)

Serve un direttore sul podio della politica economica europea

Renato Brunetta

L’Ue punta sul Next Generation Eu e la transizione digitale, la Bce stona creando ostacoli per la loro realizzazione

Sostiene Uto Ughi che “la musica è un linguaggio di fratellanza” e che “l’orchestra è l’embrione della società perché tutti devono ascoltare anche le voci degli altri”. Negli ultimi mesi, stiamo assistendo in Europa a una sinfonia stonata. Da una parte, c’è una Bce che ha avviato un vero e proprio “whatever it takes” sui tassi d’interesse, “qualsiasi cosa occorra”, o “qualsiasi rialzo necessario”, nel tentativo di riportare l’inflazione dell’area euro al tasso obiettivo del 2 per cento, come da mandato statutario della Banca.

 

Dall’altra parte ci sono i governi europei (quelli nazionali e quello dell’Unione) impegnati a perseguire una politica di bilancio redistributiva e di rilancio degli investimenti che limiti gli effetti della crisi energetica sulla liquidità di famiglie e imprese. Ma qualcosa non torna. Perché l’obiettivo di raffreddamento dell’economia fissato da Francoforte potrebbe innescare una recessione, che a sua volta potrebbe minare l’attuazione del Next Generation Eu e dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, proprio mentre a Bruxelles e nelle capitali europee si sostengono i redditi e la liquidità di famiglie e imprese e si investe per la transizione ambientale per risolvere strutturalmente il problema della dipendenza energetica. C’è distonia, disaccordo. Vediamo perché.

  

La strategia della Bce, condizionata dalla forte pressione che i governatori centrali dei Paesi del Nord Europa stanno esercitando all’interno del Consiglio direttivo, ha già visto un doppio aumento dei tassi, prima dello 0,5 per cento (lo scorso luglio) e, poi, addirittura dello 0,75 (a settembre). Il costo del denaro, così, è salito di 125 punti base nel giro di poche settimane, aprendo, di fatto, le porte alle conseguenze negative che l’aumento provocherà su investimenti e mutui. I nordici premono per nuovi rialzi, nonostante il rischio, tutt’altro che astratto, che, proprio per effetto dell’aumento del costo del denaro e, più in generale, della stretta monetaria decisa da Francoforte, l’economia dell’Eurozona finisca per entrare in recessione. O, peggio, in stagflazione, un fenomeno che si verifica quando in un sistema economico si osserva la compresenza di recessione e inflazione.

 

Di fronte al bivio tra una recessione e alta inflazione, non si nega la necessità di alzare i tassi di interesse, ma si dubita del fatto che la velocità e l’eccessiva intensità dei rialzi, così come traspare dalla forward guidance annunciata da Christine Lagarde e parametrata sulla strategia della Fed, possa essere efficace per l’economia europea. Una classica “regola del pollice” (un principio dedotto dall’esperienza, indicato come valido nella maggior parte dei casi) del policy-making insegna come la Banca centrale dovrebbe limitarsi nell’intervenire, tramite la politica monetaria, per correggere gli effetti “di primo impatto”, ovvero quelli causati dagli aumenti dei prezzi delle materie prime, mentre dovrebbe agire solamente per correggere quelli “di secondo impatto”, ovvero che si producono quando l’aumento dei prezzi viene scaricato sui salari, dando origine alla perversa spirale “prezzi-salari”.

 

Osservando i dati, questo sembrerebbe essere quanto sta accadendo negli Stati Uniti, con un’inflazione caratterizzata da un ruolo fondamentale della componente salari, ma non nell’Eurozona, dove la fiammata dei prezzi è quasi esclusivamente legata all’energia. Secondo Trading Economics, infatti, la crescita dei salari oltreoceano dovrebbe essere al +9,0 per cento in questo trimestre, a fronte di un +4,1 nell’area euro (meno della metà del tasso americano). Ragion per cui sembrerebbe giustificabile la posizione di politica monetaria assunta dalla Fed e, quanto meno, dubbia e opinabile la decisione della Bce di copiare la strategia della Fed. Inutile, quindi, copiare una ricetta quando la radice del problema è diversa, con l’azzardo, tra le altre cose, di invertire, peggiorandole, le aspettative degli operatori economici. E le aspettative, come è risaputo, in economia sono tutto. 

 

Una politica monetaria restrittiva annullerebbe, pertanto, gli effetti benefici della politica di bilancio di sostegno al reddito, con un effetto finale nullo o addirittura negativo. Senza contare che l’aumento dei tassi provocherebbe inesorabilmente una contrazione degli investimenti privati dell’Eurozona che sono indotti e stimolati da quelli pubblici di scala europea resi esecutivi dai Pnrr nazionali. Da qui il paradosso di avere una Unione europea che punta tutto il suo capitale politico sul Next Generation Eu, sul RepowerEu e la transizione digitale e una Banca centrale che stona creando ostacoli per la loro realizzazione. 

   

Ci si chiede, allora, che senso e che efficacia possa avere un policy mix del genere. Mentre i governi europei iniettano miliardi di euro in sussidi dai propri bilanci (quello italiano ne ha stanziati ben 66) per fornire liquidità a famiglie e imprese, la Banca centrale toglie quella liquidità aumentando i tassi. Ma c’è di peggio. L’assenza sia di iniziative europee, come un Next Generation Eu 2 sull’energia, sia di coordinamento a livello europeo delle politiche di bilancio nazionali, crea un incentivo ai singoli governi a utilizzare gli spazi di finanza pubblica nazionale residui in maniera, ancora una volta, asimmetrica, come è già avvenuto per gli aiuti Covid, rendendo non più credibili le regole comuni in tema di concorrenza che rappresentano un elemento fondativo del mercato comune europeo. Il rischio, alla fine, è quello che il policy mix sia inefficace, che l’economia entri in una recessione duratura, che l’inflazione non scenda ai livelli sperati e che, alla fine di questo processo, ci si ritrovi tutti peggio. 

    

Se, poi, alziamo lo sguardo alle questioni di policy sequencing in Europa fra politica monetaria e di bilancio, vi è un tema derivante dal complesso assetto istituzionale dell’Unione: la politica monetaria è in grado di intervenire rapidamente perché è una politica “sovranazionale”, innestata su un “Eurosistema” di Banche centrali costantemente raccordate. Per contro, invece, la politica di bilancio e regolatoria europea in materia di energia deve fare i conti con un approccio ancora marcatamente intergovernativo. Basti pensare che da giugno si sono susseguiti due Consigli energia straordinari e un terzo è già previsto nel mese di ottobre con un ritmo di decisioni necessariamente “incrementali”, e il rinvio di ogni decisione di respiro strategico – come il price cap – al Consiglio europeo dei capi di stato e di governo. 

 
La stessa Commissione europea, sebbene costantemente impegnata in un lavoro meticoloso di elaborazione di proposte percorribili (ad esempio in materia di tetto ai ricavi delle compagnie energetiche), non fornisce sempre l’impressione di cogliere l’urgenza che la materia riveste per i cittadini. Per contro, è necessario adottare ora, con urgenza e senza pregiudizi, misure concrete ed efficaci per contrastare dinamiche di prezzi che hanno effetti sempre più pesanti sulle nostre aziende e sui nostri cittadini, a ormai un anno di distanza da quando – anche su iniziativa italiana – il tema del prezzo crescente dell’energia è stato per la prima volta portato all’attenzione del Consiglio europeo. In sintesi, per riprendere la metafora musicale, al “prestissimo, con brio” della politica monetaria non può fare da contrappunto un “adagio” della politica energetica. Perché – nel contesto di un’inflazione che non è “da domanda”, ma che subisce l’effetto diretto del caro energia – gli strumenti (musicali o di policy poco importa) devono restare distinti, ma nel quadro di una sinfonia unica.

 

L’Unione europea, pur con tutte le difficoltà che il suo complesso meccanismo decisionale comporta, sta discutendo di misure efficaci per ridurre l’inflazione da energia importata: price cap, decoupling, riforma dei mercati energetici, in particolare dei meccanismi di pricing. Occorrerà tempo, ma già entro la fine dell’anno il pacchetto di misure potrebbe vedere la luce. Per questo motivo è necessaria una maggiore ponderatezza decisionale da parte della Bce che, rincorrendo l’inflazione attraverso l’aumento dei tassi d’interesse, potrebbe portare la posizione di politica monetaria ben oltre il risultato, producendo quello che nella teoria economica viene definito “overshooting”, cioè, andare oltre l’obiettivo. Ma, andare oltre l’obiettivo, questa volta, potrebbe costare carissimo all’Europa: non solo una recessione o una stagflazione, ma anche un freno al più ambizioso programma di riforme e investimenti del Next Generation Eu, con il fallimento delle due cruciali transizioni, l’ambientale e la digitale. Un policy mix, quello europeo, che sconta la mancanza di un regista che assicuri sintonia, coordinamento, tempo. Tocca, pertanto, ai leader dei governi e delle istituzioni europee cercare questa conduzione. In attesa che una riforma dei Trattati preveda la figura di un direttore d’orchestra sul podio della politica economica europea. Abbiamo bisogno di una nuova sinfonia nell’Unione.  Ne va non solo dell’economia, ma dell’esistenza stessa del progetto europeo.

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