le mani legate sull'energia

Perché Putin non può piazzare in Asia tutto il gas che vendeva all'Europa

Luciano Capone

Dopo la guerra in Ucraina, la Russia sta cercando di reindirizzare il metano verso la Cina. Ma mancano le infrastrutture e le sanzioni occidentali ritarderanno i suoi progetti. Mosca non potrà aumentare a oriente le forniture di gas ai livelli europei del 2021 prima di dieci anni

Qualche giorno fa, prima dei rovesci del suo esercito a Kharkiv di fronte all’offensiva ucraina, il presidente russo, Vladimir Putin aveva detto al Forum economico di Vladivostok che “è impossibile isolare la Russia”, riferendosi alle sanzioni occidentali. Putin ha aggiunto, parlando delle ipotesi allo studio in Europa e nel G7 di un price cap sul gas e sul petrolio russi, che “non consegneremo nulla se è contrario ai nostri interessi, in questo caso economici. Né gas, né petrolio, né carbone”. Il Cremlino continua a usare il gas, più del petrolio e del carbone, come un’arma contro l’Europa. Ma questa strategia sembra funzionare sempre di meno. Ieri, ad esempio, il prezzo del gas trattato alla borsa di Amsterdam è sceso ben sotto i 200 euro al megawattora (190 euro, -8%).

 

Ma ciò che è importante del discorso di Putin è la sede. Perché il Forum economico di Vladivostok è nato con l’obiettivo di sviluppare gli investimenti con l’Asia e l’estremo oriente. E uno dei temi, economici e strategici, più importanti nei prossimi anni per la Russia sarà proprio in che misura e in che tempi potrà sostituire l’Europa come mercato di sbocco del suo gas. È vero, senza alcun dubbio, che i paesi europei avranno seri problemi nel dover affrontare il prossimo inverno senza il flusso di metano che proviene dalla Russia. Ma l’Unione europea si è posta l’obiettivo di ridurre quest’anno di due terzi la quota di gas russo, storicamente il 40% delle importazioni, e di azzerare entro il 2027 la dipendenza (l’Italia, secondo il piano del ministro Roberto Cingolani, dovrebbe riuscirci nel 2024).

 

Riuscirà, invece, la Russia a sostituire il mercato europeo con quello asiatico? La risposta è no. O meglio, non con la stessa velocità con cui l’Europa farà a meno della Russia. Secondo l’ultimo report sul mercato del gas dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), “nella migliore delle ipotesi per la Russia, ci vorrebbero almeno dieci anni per aumentare le sue forniture di gas verso mercati asiatici a un livello vicino alle esportazioni del 2021 nell’Ue”. Ma l’ulteriore complicazione, rispetto ai vecchi progetti della Russia di riorientarsi verso oriente in vista degli obiettivi di decarbonizzazione della produzione europea, è che lo sviluppo delle nuove infrastrutture – dai gasdotti agli impianti di liquefazione del gas (per vendere Gnl) – richiede significativi investimenti di capitale e partnership tecnologiche che ora sono condizionati dalle sanzioni.

 

Per avere un termine di paragone tra i due mercati, nel 2021 l’Ue ha importato dalla Russia 155 miliardi di metri cubi di gas, mentre tutta l’Asia appena 32 miliardi (il principale cliente è la Cina con 17 miliardi di mc, ma poi ci sono il Giappone e la Corea del sud che partecipano alle sanzioni). L’export in Asia arriva principalmente attraverso il gasdotto Power of Siberia (10 miliardi di mc nel 2021) che arriva in Cina e dagli impianti di Gnl Sakhalin-II e Yamal. Secondo la Iea le forniture russe in Asia possono aumentare di 40 miliardi di mc, da 30 a 70, entro il 2025. L’export verso la Cina è destinato ad aumentare attraverso il Power of Siberia a 15 miliardi di mc quest’anno fino al massimo della capacità, 38 miliardi di mc, nel 2025. In aggiunta, la Russia può spostare via nave 10 miliardi di mc di Gnl che Yamal produce per l’Europa. Questo ri-orientamento verso est non è indolore, dato che farà aumentare notevolmente i costi di trasporto soprattutto nella stagione invernale quando la rotta artica è limitata dalle condizioni meteorologiche.

 

La Russia ha in corso anche notevoli investimenti come l’impianto di Gnl Arctic 2, che però subirà ritardi oltre il 2025 a causa delle sanzioni (la francese Total, partner della russa Novatek in questo progetto, dopo aver annunciato la sospensione delle attività in Russia ha messo a bilancio una svalutazione da 4 miliardi di dollari proprio a causa delle sanzioni). Il Gasdotto Power of Siberia 2, che con una capacità di 50 miliardi di mc annui collegherà i giacimenti della Siberia occidentale alla Cina attraversando la Mongolia, dovrebbe terminare i lavori dopo il 2030.

 

La Russia, quindi potrà riorientare in Asia in tempi brevi circa la metà del flusso destinato all’Europa. Solo tra dieci anni la Cina potrebbe assorbire tutta l’offerta russa, ma anche qui c’è un problema. Pechino ha una politica di diversificazione e non si metterebbe nelle stesse condizioni di dipendenza da Mosca dell’Europa. In ogni caso, il Dragone non pagherebbe gli stessi prezzi del Vecchio continente. Perché la Russia avrà bisogno di vendere gas alla Cina molto di più di quanto la Cina avrà bisogno di comprarne dalla Russia.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali