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I quattro pilastri dell'agenda Draghi

Oscar Giannino

Patto sociale, misure strutturali, no al deficit, contrattazione. La risposta a ultimatum e bandiere

Liquidata in tredici parole tutto ciò che da settimane fa sospirare i retroscenisti politici: con “il governo con gli ultimatum non lavora, perde il suo senso di esistere”, Draghi tacitianamente ha detto tutto quel che c’è da dire rispetto alle migliaia di parole contraddittorie spese dall’avvocato Conte. Ma quel che conta della conferenza stampa di Draghi, dopo aver incontrato i sindacati, non sta affatto nella risposta a Conte. Bensì in quattro pilastri uno più importante dell’altro. 

 

Il primo è aver dato una piena e rotonda spiegazione di quell’ampio e necessario patto sociale di cui parlò diffusamente a settembre 2021 all’assemblea di Confindustria, che lo chiedeva da maggio 2020. E che finora non era mai stato accolto da partiti e sindacati. Non c’è posto per ottimismi di circostanza, l’economia italiana al momento va meglio di quella tedesca, ma nessuno è in grado di dire che cosa avverrà nei prossimi trimestri. Per questo Draghi ha incardinato la necessità di affrontare con tutte le parti sociali un confronto approfondito che unisca sia il fronte della difficile transizione con cui sono oggi alle prese filiere manifatturiere industriali essenziali, come l’automotive e l’acciaio che ha citato, sia il tema della perdita di potere d’acquisto che l’inflazione infligge a lavoratori e pensionati: i sovraccosti energetici industriali minacciano la crescita come l’impoverimento delle famiglie. E’ una visione non troppo diffusa nel dibattito italiano. 

 

Secondo pilastro. Il governo sinora ha adottato misure per 33 miliardi di euro per la mitigazione delle bollette di famiglie e imprese. Ma Draghi ha riconosciuto che servono oggi “misure strutturali”, più che proroghe di bonus. E’ una richiesta che unisce insieme associazioni datoriali e sindacati: è una svolta che prima dell’intervento “corposo” in materia energetica in arrivo a fine luglio il governo apra due round successivi di confronti su come strutturarlo.

 

Terzo pilastro: per tali misure strutturali non bisogna immaginare deficit a tavoletta né interventi erga omnes, non concentrati cioè sui redditi più bassi e imprese più esposte. Draghi richiama tutti alla necessità di rimodulare la spesa pubblica e il prelievo, per evitare che da una parte si mitighi impoverimento dei privati e dall’altra però si alzi l’onere del debito pubblico. Fa benissimo a mettere il paletto: visto che sindacati e partiti continuano a ragionare come se la Bce dovesse salvarci a tempo indeterminato.

 

Quarto pilastro: sulla delicata materia dei contratti e del salario minimo, Draghi ha misurato attentamente le parole. Ha esplicitamente richiamato importanti contratti rinnovati bene nell’industria, e sottolineato invece la necessità dei rinnovi che si attendono invece nei servizi. E la circospezione del perimetro d’intervento si è letta anche nelle parole del ministro del Lavoro Andrea Orlando: i 2,5-3 milioni di working poor stimati dal governo sono nei settori che non beneficiano di contratti come quelli dell’industria, o che sono sottoposti a contratti-pirata. E’ un approccio che suona diverso dall’intenzione di normare per legge il trattamento salariale complessivo e non il salario minimo in tutti i settori, che negli ultimi mesi sembrava implicito nelle intenzioni del ministro. Bisogna declinare insieme il rispetto dei contratti vigenti e la tutela di chi non ne beneficia, parole sue. I dettagli oggi sconosciuti possono nascondere molte questioni divisive: la stessa nozione di assumere come riferimento i trattamenti minimi dei contratti più diffusi o di quelli sottoscritti dalle confederazioni a maggior rappresentatività divide i sindacati perché implica o meno una legge sulla rappresentanza sindacale, ad esempio.

 

Sono tutti temi che vedremo nei tavoli che per due mesi ora s’infittiranno. Ma non si può dire che stavolta Draghi non sia stato chiaro sui paletti del confronto ad ampio spettro che ha avviato: è la più alta eredità che vuole lasciare a chi verrà dopo. E parla una lingua irriducibile a quella delle meschine bandierine che M5s e Lega credono di allestire come fiera personale in vista delle elezioni. Se poi non funzionerà, dipenderà dai folli. E il mondo restituirà alla rappresentanza politica e sindacale italiana la triste nomea di assoluta irresponsabilità in cui è sprofondata per anni.

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