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Gli ostacoli della transizione

Lezioni americane per togliere l'ideologia dal business delle rinnovabili

Fabio Bogo

Nonostante siano invocate a gran voce, le fonti di energia green trovano numerosi ostacoli in Italia. Emblematico il caso delle pale eoliche contestate a Cagliari. Oltreoceano le cose vanno molto diversamente

Il messaggio del presidente del consiglio Mario Draghi sull’energia sembra spesso cadere nel vuoto a livello locale. Tanto da costringere il premier a intervenire di persona per sbloccare iter autorizzativi troppo lunghi e liberare, come ha fatto la scorsa settimana: sei impianti eolici terrestri in Puglia, Basilicata e Sardegna. Una mossa dettata forse dal fastidio provocato dal realizzare che nell’alternativa tra il gas di Putin e le risorse alternative con fonti rinnovabili vicine al proprio cortile tutto sommato c’è sempre qualcuno che preferisce la prima.

   

E un’insoddisfazione acuita forse da un paragone. In Italia, dove di energia fossile se ne produce pochissima, le rinnovabili trovano mille ostacoli. Negli Stati Uniti, maggior produttore mondiale di petrolio e gas al mondo nonché esportatore netto, invece si diversifica e si fa a gara per acquisire licenze per l’energia prodotta dal vento: la recente asta per una concessione per un parco eolico al largo delle coste di New York ha fruttato 4,37 miliardi di dollari, più di qualunque altra (comprese quelle petrolifere) mai assegnata per le acque americane. Sei impianti sbloccati, dunque, ma altri ancora fermi al palo.

  

L’ultimo stop locale è di tre settimane fa in Sardegna, in mare e molto al largo di Cagliari. Il progetto è di Nora Ventu, una joint venture tra Falck Renewables e Blue Float Energy. Il 22 febbraio viene presentato il progetto e prima ancora di avviare il percorso autorizzativo si annuncia la volontà di esplorare con le comunità locali e gli ambientalisti la possibile accoglienza. Gli impianti sono due, con una distanza minima dalla costa che varia da 22 a 34 chilometri (“impercettibili visivamente a occhio umano dalla terra”, dice Falck). Si parla di 4 mila impieghi diretti per la realizzazione dei due parchi e di trecento posti di lavoro stabile per la loro manutenzione; materiali e servizi saranno prevalentemente locali. Il primo parco è composto da 53 aerogeneratori, per una capacità installata totale di 795 Mw. Si stima una produzione annua di 2,6 TWh, capace di soddisfare le esigenze energetiche di 700 mila utenze e di ridurre le emissioni di C02 di 1,5 milioni di tonnellate. Il secondo impianto prevede 40 aerogeneratori, per una capacità installata totale di 600 MW,  circa 30 km a sud di Capo Carbonara; la produzione annuale attesa è di circa 1,9 TWh, equivalente al consumo di oltre 500.000 utenze domestiche: l'emissione evitata in atmosfera è pari a oltre 1 milione di tonnellate di anidride carbonica all’anno.

   

La reazione locale è immediata. Comincia Mara Lapia, deputata ex 5 stelle e ora al gruppo misto, che in un’interrogazione al ministro Cingolani dichiara che “nessun interesse occupazionale, né energetico, può giustificare l'installazione di parchi eolici davanti a zone di così alto pregio naturalistico, ambientale e storico, in zone a così alta vocazione turistica”. Lapia denuncia la “colonizzazione energetica” dell’isola e precisa che “non si tratta di essere contrari a questo tipo di installazioni ma bisogna scegliere con cura i luoghi deputati ad ospitarli e soprattutto coinvolgere tutte le istituzioni interessate”. Ancora più espliciti gli ambientalisti riuniti nel Grig, il gruppo di intervento giuridico, per i quali i parchi progettati sono una delle più rilevanti conseguenze della volontà ormai di fatto conclamata di voler destinare la Sardegna e i mari sardi al ruolo di piattaforma di produzione energetica”. Toni nazionalisti. Incomprensibile sembra invece l’accusa di “inadeguata diversificazione delle fonti di energia”, a meno di considerare i parchi eolici progettati come una succursale di Gardaland dove intrattenere le famiglie e i bambini in mezzo al mare.

   

Le vicende italiane sono tutto il contrario di quello che accade negli Usa. Lì, a 38 miglia dalla costa di New York, il governo ha messo all’asta uno spazio di mare dove realizzare un parco eolico. E’ una zona ventosa, estesa su 488 mila acri, quasi duemila chilometri quadrati. Fa gola a molti, perché con una potenza di 30 gigawatt si possono alimentare 10 milioni di abitazioni. E infatti l’asta ha avuto un esito incredibile. I vari lotti concessi hanno totalizzato un incasso pari a 4,27 miliardi di dollari, Un record che ha spunto il Financial Times a fare due calcoli. A memoria la precedente più redditizia asta nelle acque americane risale al 2008. Golfo del Messico, 3,7 miliardi di dollari. Ed era una piattaforma petrolifera.

 

Una lezione per l’Italia, quella che viene dagli Stati Uniti. Dove, nonostante il paese sia ritornato ad essere il più grande produttore di energia di fonte fossile al mondo, si investe sulle rinnovabili, che nel 2020 sono diventate il secondo comparto nazionale con il 21 per cento, dopo il gas (40 per cento), ma prima di nucleare (20) e carbone (19). Senza se, senza ma, e senza nemmeno Putin.

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