Claudio Scajola, oggi è sindaco di Imperia (LaPresse)

L'intervista

"Sul gas l'Italia è ferma al 2006. Si torni al nucleare". Parla l'ex ministro Scajola

Giampiero Timossi

"Un paese senza acciaio ed energia non può essere un paese sviluppato. Abbassare di un grado la temperatura nelle abitazioni è un inizio ma non basta", dice l'ex responsabile del Mise e delle Politiche industriali, oggi sindaco di Imperia

Serve energia, anche per portare avanti le idee. "Se coprissimo il 25 per cento con il nucleare, un altro 25 con le rinnovabili e il 50 per cento con le fonti fossili tradizionali, gas e carbone pulito, avremmo un mix energetico equilibrato, che ci permetterebbe di affrontare il futuro con sicurezza e a minori costi". Era il 29 maggio, di quattordici anni fa. Questo era il progetto di Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo Economico, incarico dal quale si dimise due anni dopo. Il futuro è arrivato. 

 

La chiacchierata con Scajola, oggi sindaco e presidente della Provincia di Imperia, resta (purtroppo) decisamente attuale. Un altro passo indietro, due anni prima: 25 gennaio 2006. Quella sera Scajola, ministro delle Politiche industriali, annuncia il decreto appena approvato, in risposta alla crisi energetica. "Che, ricordo, era causato da forti tensioni economiche tra Russia e Ucraina, oltre a un’ondata di gelo che in quelle settimane aveva colpito l’Italia". Ottima memoria, è noto. È il gennaio del 2006 quando inizia quello che sembrava, fino a oggi, il punto più alto della tensione tra Russia e Ucraina, la "guerra del gas". Comincia, gennaio 2006, quando il colosso energetico russo Gazprom taglia le forniture all’Ucraina, dopo mesi di contenzioso sui prezzi del venduto a Kiev. Il taglio causa una riduzione di flusso verso i paesi europei, Italia compresa. Ricorda Scajola: "Si agì con diversi provvedimenti, sul brevissimo periodo chiedendo un sacrificio ai cittadini e riducendo la temperatura di un grado nelle abitazioni". Provvedimento analogo all’ordinanza firmata dal sindaco di Imperia il 7 marzo, portando a 19 la temperatura massima nelle abitazioni e a 17 quella negli edifici industriali e artigianali. 

 

Il decreto del 2006 prevedeva ovviamente altro, anche se in quei giorni si parlò soprattutto di chi avrebbe dovuto verificare la temperatura nelle abitazioni, si ipotizzò anche che il compito venisse affidato alla Guardia di Finanza. Ironia che non portò molto lontano, anche se in realtà il piano era decisamente più articolato. Ma si rivelò soprattutto inascoltato, "prevedeva un utilizzo maggiore delle nostre riserve di gas, incentivammo l’aumento di forniture di gas con Algeria e Libia e stringemmo accordi più stretti con il Kuwait per fornire il rigassificatore di Rovigo, che oggi ha una capacità di 8 mila metri cubi l’anno. Oggi ne esistono solo altri due, in Liguria e nel Tirreno, sono passati quasi vent’anni, è vero era prevedibile e avevamo previsto la necessità che l’Italia si dotasse di una capacità energetica autonoma. Mi pare evidente che quando era stato programmato e iniziato dal 2006 non sia stato portato avanti". 

 

In questi giorni il presidente del consiglio Mario Draghi ha riportato all’attenzione la necessità di puntare (anche) sui rigassificatori, che restano tre. Per il progetto di un impianto previsto a Porto Empedocle l’iter è iniziato 8 anni fa e non è ancora concluso. Un rigassificatore permette di superare i conflitti politici legati alle forniture dei gasdotti: il gas arriva in nave, liquefatto e in questo senso dopo gli accordi del governo Berlusconi con il Kuwait oggi si punta sul Qatar. 

 

Ragiona Scajola: "Avviammo anche un comitato che portò a una collaborazione con la Francia sul nucleare di ultima generazione". Un altro tema tornato di attualità, ma sull’energia l’ideologia è come la geopolitica, imprevedibile. Ricordi dell’ex ministro: "Un paese senza acciaio ed energia non può essere un paese sviluppato, mi pare evidente che si stia impiegando ancora parecchio tempo per capirlo. Per troppo tempo ci siamo cullati nell’idea che il gas mantenesse contenuti i costi e aperte le tradizionali fonti di approvvigionamento. Nel 2008 avevamo definito, con decreto, una strategia energetica nazionale, che era stata approvata l'anno successivo dal Parlamento all'interno di un piano complessivo per lo sviluppo delle nostre imprese. Dopo il referendum e la successiva caduta del Governo si è fermato tutto, ma il Piano energetico proposto allora aveva idee, progetti e la volontà di diversificare le fonti per permettere all’Italia di dotarsi di una capacità autonoma".

 


Prevedeva anche un ritorno al nucleare, con la proposta che nuove centrali venissero inaugurate nel 2020: "Nucleare sicuro, certo, ma anche su fotovoltaico, eolico, idroelettrico che è nella nostra tradizione e offre ancora molte potenzialità sia dal punto di vista energetico, sia per la gestione delle risorse idriche". Sedici anni, di ritardo. Mentre le geopolitica corre, impazzita. "Certo che il piano resta attuale e oggi come in futuro sarà di strettissima attualità, il contenimento dei consumi è un altro elemento chiave, come dimostrava quel decreto del 2006 che aveva interventi di brevissimo periodo, ma poi serve la progettualità, che invece va a confrontarsi con le parole, con il fotovoltaico che danneggerebbe il paesaggio, l’eolico che interferirebbe sulle migrazioni degli uccelli, le paure non documentate sul nucleare di ultima generazione o sull’idroelettrico". Mentre il governo Draghi  non esclude che l’emergenza energetica possa richiedere la riapertura delle centrali a carbone e si "abbozza" a un’idea di ritorno al nucleare. Mentre quello che serviva non è stato fatto, altro è stato smantellato. 

"Le scorie delle nostre centrali chiuse sono ancora conservate in Francia, che ovviamente chiede un canone per il deposito e probabilmente i cittadini non sanno che ancora pagano questo servizio sulla bolletta elettrica, che è probabilmente l’elemento principale per risvegliare in Italia il tema dell’indipendenza energetica". Oggi come 16 anni fa. 

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