Foto LaPresse di Kenzo Tribouillard 

Come l'Ue può compensare i perdenti delle sanzioni alla Russia

Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Le misure restrittive adottate sono il fulcro della reazione occidentale verso l’invasione dell’Ucraina, madevono essere accompagnate da misure altrettanto focalizzate di soccorso per coloro che, senza colpa, ne vengono colpiti

Quali sono le finalità delle sanzioni contro la Russia? E quali gli effetti? Finora il dibattito si è concentrato sulle diverse tipologie di misure restrittive adottate, dal congelamento dei beni degli oligarchi all’esclusione di sette banche russe dal circuito Swift fino alla loro possibile estensione al settore energetico. L’esperienza storica  suggerisce che le sanzioni sono tanto più efficaci quanto più hanno obiettivi puntuali. E sono tanto più tollerabili quanto più vengono accompagnate da misure altrettanto focalizzate di soccorso per coloro che, senza colpa, ne vengono colpiti. 


In questo articolo ci concentriamo sul secondo aspetto. E’ importante metterlo correttamente a fuoco perché l’argomento della cosiddetta “arma a doppio taglio” è stato ampiamente utilizzato da Mosca (e dai suoi amici in Occidente). Le sanzioni sono il fulcro della reazione occidentale verso l’invasione dell’Ucraina. Ma proprio per questo motivo, e per il fatto che probabilmente sono destinate a restare in vigore per molto tempo, occorre prenderne sul serio anche i costi. L’Ue è il principale partner commerciale della Russia. E’ forse anche per questo che, a differenza degli Stati Uniti, è stata abbastanza prudente nel determinare l’ambito d’applicazione delle sanzioni. Mentre Biden insisteva per un approccio duro fin dall’inizio (start high, stay high), a Bruxelles se n’è preferito uno più graduale. Per esempio, data la dipendenza dal gas russo, specie per alcuni paesi (Germania e Italia) ci si è ben guardati dal colpire il settore energetico e le banche (come Gazprombank) che sono il principale vettore per il pagamento delle forniture.


Mentre si sta già parlando di meccanismi di compensazione finanziati in comune per ridurre le asimmetrie tra gli stati membri nell’accesso alle forniture di energia, per ora non è stata avanzata alcuna proposta per mitigare il danno che le imprese europee possono subire per effetto delle sanzioni. Cerchiamo anzitutto di delimitare il problema. Non parliamo, ovviamente, del lucro cessante per le aziende e le istituzioni finanziarie che, rispettivamente, esportavano o operavano nel mercato russo. Si tratta di un rischio-paese che era ben noto e che evidentemente queste società o banche hanno scelto di correre. E’ il caso della Raffeisen Bank che genera il 30 per cento del suo utile prima delle tasse in Russia, dove ha oltre il 10 per cento dei suoi impieghi. Dopo lo scoppio della crisi, l’istituto austriaco ha dovuto cancellare il proprio dividendo 2021. Neppure pensiamo ai casi di società che hanno scelto di disinvestire e uscire in perdita dalla Russia. L’esempio più significativo è BP che ha annunciato l’intenzione di dismettere, con effetto immediato, la propria partecipazione del 19,75 per cento in Rosneft, incorrendo in una significativa perdita. Per quanto possa essere una decisione politicamente motivata, è pur sempre una libera scelta del management.


Ci riferiamo, invece, alle conseguenze immediate e dirette subite dalle imprese occidentali per effetto delle sanzioni: per esempio, qualora una banca russa faccia default (come è accaduto in Austria per la controllata di Sberbank), le controparti europee che avevano depositi o crediti ne subiscono un danno. Lo stesso potrebbe accadere qualora le sanzioni dovessero estendersi al settore energetico: i contraenti che avevano fatto affidamento sulle forniture russe si troverebbero scoperti e dovrebbero andare a rifornirsi sul mercato a prezzi presumibilmente molto più elevati. In questi casi, le perdite subite sarebbero imputabili a una legittima decisione delle istituzioni europee che, però, avrebbe un impatto distorsivo perché potrebbe incidere in modo diverso sugli operatori. Inoltre, l’indisponibilità di gas russo (e, in misura minore, di petrolio) potrebbe costringere alcuni soggetti a fare default, o per l’impossibilità di ripagare linee di credito, o per quella di rifornire i clienti. Questi ultimi, poi, potrebbero trovarsi in difficoltà a trovare forniture alternative a prezzi sostenibili e, dunque, essere spinti verso la bancarotta.

 
Per limitare questo effetto occorre compensare i “perdenti”. Per farlo, serve una decisione – analoga al “temporay framework” adottato per il Covid – in base alla quale gli stati membri sono autorizzati ad adottare aiuti in deroga alla disciplina ordinaria sugli aiuti di stato. Sarebbe una soluzione straordinaria e temporanea da utilizzare in casi ben determinati e sotto il controllo della Commissione. Tali aiuti, prima ancora che attraverso erogazioni di denaro, dovrebbero assumere la forma di garanzie pubbliche sui prestiti, in modo da garantire a tutti gli operatori la liquidità necessaria a proseguire le loro attività. Oltre a riequilibrare queste distorsioni, avrebbe il vantaggio di aumentare la potenza di fuoco dell’Ue che sarebbe ben più libera di continuare l’escalation, qualora la Russia non desista, adottando misure sempre più incisive che possano effettivamente mettere in ginocchio la sua economia.

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