LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili 

editoriali

Il debito buono non è per sempre

Redazione

Le fiammate dello spread ricordano all’Italia i tabù da non trascurare

Dello spread ci eravamo dimenticati, tra denaro facile della Bce e sospensione del Patto di stabilità per tutto il 2022, anno in cui si proverà a riformarlo. E poi il “momento Draghi” che ha reso l’Italia, anzi il suo governo, più credibile. Ma lunedì il differenziale con la Germania si è risvegliato salendo a 137 punti, il massimo da un anno, finché sono intervenuti gli acquisti dell’Eurotower. Un segnale non trascurabile poiché ha riguardato anche altri titoli periferici, quelli dei paesi più indebitati. Già, il debito, anch’esso passato in secondo piano, in nome di sussidi e bonus più o meno giustificati. Il governo in realtà non ha trascurato il debito, quantificandolo in calo già dal 2021 (al 153,5 per cento) ed entro il 2023 in rientro ai livelli precrisi (134,3). 

Spread, perché è tornato a salire?

Per ora si tratta di una scommessa sul rimbalzo del denominatore, il pil, più che di un impegno al controllo del numeratore, la spesa pubblica. Per disinnescare la quale finora è stata annunciata una sola riforma, quella della previdenza con il funerale di Quota 100 e il progressivo ritorno agli standard della legge Fornero. Altre misure utili sono a rischio, a cominciare dalla concorrenza che produrrebbe maggiori introiti allo stato con le concessioni balneari, ridurrebbe sprechi e clientele negli enti locali con la messa a bando dei servizi e attrarrebbe investitori. Così come il mitologico e sempre promesso sblocco delle infrastrutture.

Ma l’Italia non uscirà mai dal peso del debito senza una crescita durevole, cioè affidata alla ripresa, non assistita ma agevolata, dei consumi e degli investimenti, soprattutto se non si colma il gap rispetto all’Europa degli occupati, 10 punti in generale e addirittura 20 per le donne. Non è notoriamente questione di mancanza di richiesta ma del consolidarsi dell’idea che di lavorare si possa fare a meno. Si rischia un’emergenza, anche etica, non meno grave di quella climatica. Draghi può spendere anche qui il proprio carisma, anche se nessuna Greta sfila per invitare a darsi una scossa, e la battaglia sul valore del lavoro è meno popolare di tutte le altre.