(foto Ansa)

Quello che i sindacati non fanno per prevenire le morti sul lavoro

Giuliano Cazzola

Le norme in materia di infortuni sul lavoro e le malattie professionali assegnano delle funzioni essenziali ai rappresentanti dei lavoratori in azienda. Non basta indignarsi, occorre agire

In occasione dell’incontro informale con i giornalisti, Mario Draghi ha o sottolineato l’esigenza di “fare di più” per ridurre le morti sul lavoro. Ha espresso parole di solidarietà per i famigliari e gli amici di Laila El Harim,  come aveva già fatto alla Camera nel maggio scorso per la tragica scomparsa della giovane Luana D’Orazio “e degli altri cinque, ben cinque, lavoratori deceduti sul lavoro soltanto nell’ultima settimana”; di queste vittime aveva letto i nomi, perché consegnarli alla memoria del paese attraverso i verbali della seduta. Peraltro nel Pnrr è previsto un rafforzamento dell’Ispettorato nazionale del lavoro quale agenzia per la vigilanza con l’assunzione nei prossimi mesi di circa 2 mila nuovi ispettori su un organico corrente di circa 4.500. Nel suo intervento alla Camera, Draghi aveva avvertito che con l’avvio della ripresa produttiva occorreva maggiore vigilanza perché sarebbe aumentato il numero degli infortuni. Come si potrebbe fare di più? In primo luogo sarebbe necessario affrontare con metodo e razionalità – tenendo d’occhio le statistiche –  il tema della sicurezza “in occasione di lavoro’’.

Troppe volte l’aspetto mediatico della causa violenta che determina la tragedia finisce per occupare la scena, per concentrare sulla vittima e le sue caratteristiche l’attenzione dell’opinione pubblica. Per alcuni giorni i media si gettano sull’evento come se la cinica ricerca del profitto (è il leit motiv che intonano in coro i sindacati) non si curasse della vita delle persone, intrappolate nei posti di lavoro. Poi la notizia viene abbandonata per passare a un’altra. L’approccio corretto sarebbe invece quello indicato, nel luglio scorso, nella sua relazione istituzionale dal presidente dell’Inail Franco Bettoni:  “Nella convinzione che ogni vita persa sul lavoro sia inaccettabile, il pesante bilancio infortunistico ci fa comprendere che non si fa ancora abbastanza. Non è sufficiente indignarsi ma occorre agire. Le norme ci sono e vanno rispettate’’. Ma questo deve essere un impegno di tutti, a partire dai datori di lavoro che la legge ritiene responsabili della salute e della sicurezza dei propri dipendenti, anche in caso di rischio fortuito, forza maggiore, colpa non grave del lavoratore. Con l’obbligo per l’imprenditore di non attenersi soltanto a quanto previsto dalle leggi, ma  “ad adottare nell’esercizio dell’impresa (l’articolo 2087 c.c. è una norma di chiusura) le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d’opera’’.

I dirigenti sindacali farebbero bene a tenere presente tale contesto di responsabilità anche quando si tratta del green pass, poiché il contagio da Covid-19 contratto sul posto di lavoro e in itinere è considerato infortunio e gli si applicano le prescrizioni penali e civili disposte a carico del datore. E dall’inizio della crisi sanitaria sono stati denunciati 175 mila infortuni da Covid-19, con ben 600 decessi. Eppure assistiamo ai primi scioperi contro il green pass e alla sconclusionata nota dei sindacati della scuola.  Ma nessuno parla delle omissioni dei sindacati. Le norme in materia di infortuni sul lavoro e le malattie professionali (dlgs n.81/2008 e successive modifiche) assegnano delle funzioni essenziali ai rappresentanti dei lavoratori in azienda  o a livello del territorio. Vi è un’intera sezione (la VII) dove sono previste forme di consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori eleggibili in tutte le aziende anche se piccole. I poteri di questi lavoratori sono effettivi;  possono disporre senza perdere la retribuzione del tempo necessario per svolgere i loro compiti e il rappresentante  “può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione dei rischi adottate dal datore di lavoro e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonee a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro’’. Chi è chiamato dagli altri lavoratori a svolgere tale funzione “non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali’’. Perché non si chiamano i leader sindacali a rispondere del mancato esercizio di questi diritti?

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