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editoriali

Qualcosa di buono sul lavoro c'è

redazione

Ci sono 300 mila ragioni per sperare nel rimbalzo anche dell’occupazione

Il momento peggiore per il nostro mercato del lavoro è stato in giugno. Quando il colpo della crisi pandemica era arrivato da poco, ma da un tempo sufficiente per farsi avvertire in quasi tutti i settori della produzione e dei servizi. Eravamo frastornati e le cose avrebbero potuto perfino essere peggiori se non ci fosse stato il blocco dei licenziamenti. L’analisi congiunta di ministero del Lavoro e Banca d’Italia contiene però indicazioni interessanti sui mesi successivi. Con un recupero notevole dal tonfo di giugno. Da 600.000 posti persi al dimezzamento di quel passivo. Ovviamente 300.000 posizioni lavorative in meno, con una forte prevalenza femminile, sono comunque una notizia terribile. Ma ha senso andare a guardare la storia di quel dato, con il recupero di cui abbiamo appena parlato, e la sua composizione. Perché nei 300.000 che ancora rappresentano il danno micidiale della pandemia per il mercato del lavoro la maggior parte era impiegata, con contratto non a tempo indeterminato, nei settori interamente bloccati, come turismo e ristorazione e servizi per eventi pubblici, oppure in filiere dove si è registrata una forte riduzione dei consumi, come l’abbigliamento.

Il mercato del lavoro è stato elastico rispetto alla domanda. Ma non ci sono stati, ad aggravare stabilmente il quadro, comportamenti opportunistici, come, ad esempio, riduzioni di organico per approfittare del momento di crisi. Questo è dovuto in buona parte al blocco dei licenziamenti, ma non è lì tutta la spiegazione. Gli operatori economici hanno saputo tenere i nervi saldi, preparandosi alla ripresa senza perdere posizioni. I settori in cui la domanda di mercato è stata forte hanno colto il momento per assumere, è successo nella produzione agroalimentare e nei servizi commerciali online. Salvando la struttura delle aziende il lavoro perso nei settori ancora fermi potrà essere recuperato nel 2021, e con esso anche il grave sbilancio a sfavore del lavoro femminile, colpito maggiormente a causa degli effetti indiretti della chiusura delle scuole.

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