Dieci anni di fonti rinnovabili da eolico e fotovoltaico, un conto già pagato di 100 miliardi (LaPresse)

L'ipocrisia delle “tasse buone”

Nicola Porro

Creato il mostro, il catastrofismo ambientale, ecco le imposte per salvarci. Dal nuovo libro di Nicola Porro

Pubblichiamo un estratto del terzo capitolo di “Le tasse invisibili. L’inganno di stato che toglie a tutti per dare a pochi”, il saggio di Nicola Porro (La nave di Teseo, 208 pp., 17 euro) da pochi giorni in libreria. “L’idea di tassare e nascondere la mano non è nuova”, è scritto nel risvolto di copertina, “ma oggi, come mai prima, le imposte cercano di mimetizzarsi… Le tasse invisibili sono etiche e ambientali”.


 

Uno dei più formidabili espedienti utilizzati per adottare “tasse buone” (cioè considerate tali e dunque sopportabili) è imporle per combattere l’inquinamento e il riscaldamento del pianeta, per abbassare il fantomatico tasso di morti premature che le polveri sottili comporterebbero (in Italia, nel 2018, il loro numero sarebbe tuttavia inferiore a quello procurato dagli incidenti stradali).

Chi si opporrebbe a una tassa per ridurre le morti? Un pazzo o un carnefice. Ecco dunque che il prelievo per ridurre l’inquinamento è cosa buona e giusta. E chi cerca di evitarlo è peggio di un evasore: è un malandrino che vuole la fine del pianeta. Poco importa, poi, andare per il sottile.

 

Chi cerca di evitare il prelievo per ridurre l’inquinamento è peggio di un evasore: è un malandrino che vuole la fine del pianeta

Il filo del ragionamento è molto semplice e spaventoso. Il pianeta sta morendo e dobbiamo dunque fare subito qualcosa. Quel qualcosa ha un costo: dunque sopportiamolo per non morire. O comunque per assicurare la vita ai nostri figli. In questa sequenza logica, come in una fila di ubriachi, non c’è nessun soggetto che può cadere: se cade uno, cadono tutti. Non si può discutere la dimensione del fenomeno (inquinamento o riscaldamento globale), non si può mettere in forse la nostra specifica responsabilità di uomini-contribuenti, e quindi non si può che aprire il portafoglio.

Ogni imposta è infelice a modo suo. Quella sul reddito cura l’ingiustizia delle disuguaglianze, quella sul patrimonio si occupa di rimettere in linea i meriti tra generazioni, e quella sull’ambiente è volta a restituire agli uomini che verranno un po’ di quel verde che gli attuali abitanti della Terra avrebbero loro rubato.

Ma entriamo nel merito della vicenda. Gran parte del castello delle imposte buone e ambientali si regge sulla necessità di ridurre la famigerata CO2 – con il dettaglio non insignificante che non si tratta di una sostanza inquinante. L’anidride carbonica è infatti un gas serra che, in qualche misura, sarebbe la responsabile principale del riscaldamento del pianeta. L’inquinamento è tutt’altra faccenda. Vi anticipiamo subito che, per ridurlo, i soli cittadini italiani tra il 2010 e il 2040 spenderanno la bellezza di 240 miliardi di euro. […]

 

Un reticolo di norme e imposizioni coattive è la strada adottata per fermare l’inquinamento. Sul riscaldamento globale, che sulla carta dovrebbe essere altrettanto pericoloso, l’approccio è stato diverso: erogare incentivi per cambiare il mix produttivo. L’obiettivo è quello di ridurre la produzione di CO2, e dunque l’utilizzo di combustibili fossili: ogni megawattora prodotto con il gas genera 0,37 tonnellate di CO2, mentre se è prodotto con il carbone sale a 0,80. Una famiglia tipo italiana consuma in un anno 2,7 megawattora, il che vuol dire che se la sua elettricità fosse generata solo da gas, immetterebbe, indirettamente, nell’ambiente una tonnellata di CO2; che raggiungerebbe le 2,15 tonnellate se fosse servita solo da watt prodotti con il carbone. Fanno un po’ ridere, se non peggio, i grandi della Terra che girano per il mondo con i loro costosi aerei di stato, per dirci che dobbiamo inquinare di meno. L’aereo del premier cinese produce la CO2 di circa 7000 famiglie, quello di Macron di 3400, poco più di quelli di Putin e della Merkel.

 

  

 

Ma tornando alle nostre famiglie che viaggiano low cost, sappiamo, come vedremo tra poco, che per generare un megawattora di energia elettrica da impianti solari abbiamo speso, nel 2017, 290 euro. Per comprendere meglio gli ordini di grandezza in gioco, vale la pena capire quanto costa ai contribuenti italiani ridurre le emissioni di CO2. Se il pannello sostituisse una produzione a gas, comporterebbe un costo per tonnellata di CO2 di 780 euro (pari a 290 euro per 2,7 megawatt di energia elettrica, che producono una tonnellata di anidride carbonica); nel caso di sostituzione del carbone (che genera più anidride carbonica) il costo sarebbe di 362 euro. Se il fine fosse solo quello di evitare le emissioni di CO2, si dovrebbero tenere a mente questi costi per emissione evitata.

Gli italiani sono disposti a spendere 780 euro per evitare di immettere nell’ambiente una tonnellata di CO2 che producono in un anno? Ci sono tecnologie alternative e meno costose? Se insinuate in loro pure il dubbio che in fondo non siamo sicuri al 100 per cento che queste emissioni ci porteranno alla fine del mondo, allora vedrete che la risposta cambierà di molto.

Nel frattempo siamo riusciti a tassare sole e vento. O meglio, pretendiamo di riscaldarci solo grazie a essi e per farlo obblighiamo i “fedeli” a pagare un obolo. Il calcolo complessivo per la comunità italiana è presto fatto, ed è pari a 240 miliardi di euro da corrispondere in venti comode rate annuali: tra i 10 e i 12 miliardi di euro l’anno. Fino a oggi abbiamo già speso 100 miliardi, con un picco raggiunto nel 2016. Valori da capogiro. Per ottenere, come vedremo più avanti, risultati minimi sia in termini di riduzione di CO2 sia nella produzione di energia. Un capolavoro che ogni anno sposta, in omaggio a questa tassa buona, risorse dalle famiglie a poche grandi aziende e fondi di private equity che hanno perfettamente capito l’affare. […]

Un pericolo sociale è più evidente quando si manifesta direttamente: ecco perché la politica è saltata come un sol uomo sulla pasionaria Greta

Nonostante il coraggioso ambientalista che è dentro ognuno di noi, nessuno è disposto a rinunciare all’energia, e per di più la vuole abbondante. Un tempo i blackout avvenivano quando c’erano dei picchi industriali, oggi arrivano quando i terminali dell’aria condizionata pompano aria fredda per farci stare più comodi a casa. Nessuno rinuncia all’energia, ma al fresco ci permettiamo di pontificare sul riscaldamento del pianeta. Quanti di noi sono disposti ad accettare il blocco della fornitura elettrica per assecondare i cicli del sole e del vento? Direi nessuno. Eppure è ciò che avviene regolarmente per le aziende energivore italiane. Che uno potrebbe immaginare abbiano un uso dell’energia più necessario rispetto a quello di un accaldato cittadino. Eppure queste aziende stipulano contratti che prevedono la disponibilità all’interruzione del servizio di fornitura. Terna, la società che gestisce la nostra rete elettrica, in caso di bisogno di energia, può dunque staccare la spina ad alcuni suoi clienti. Logicamente tutto ciò ha un prezzo, pagato a priori, per l’eventuale disservizio creato alle imprese che si rendono disponibili a cedere provvisoriamente la loro quota di fornitura: alla fine, si tratta di contributi ricevuti da pochi grandi player energivori, a prescindere dall’effettivo “disservizio”. Vento e sole non sono costanti, non sono prevedibili, non vengono prodotti dove e quando si vuole. Il sistema non si può basare dunque solo su di essi. Ecco perché si mettono in campo tutta una serie di meccanismi per ovviare all’intermittenza di queste fonti energetiche. La società che distribuisce l’energia in Italia negli ultimi anni ha messo in bilancio una cifra che varia tra uno e due miliardi di euro proprio per questo genere di complicazioni.

Quattrini che si vanno a sommare ai 10-12 miliardi già presenti in bolletta per il finanziamento dell’elettrone verde.

 

Anche sul fronte dei volumi di produzione e di sostituzione dei combustibili fossili non andiamo granché bene. Senza pensare a quanto ci è costato tutto questo meccanismo, potremmo almeno sperare di avere fatto un investimento per il futuro, non tanto del pianeta, ma della diversificazione delle fonti con le quali produciamo la preziosa energia elettrica. Le fonti rinnovabili da eolico e fotovoltaico, secondo i calcoli più recenti, fornirebbero poco più del 10 per cento della domanda di energia in Italia. Non sono minimamente sufficienti a far girare la nostra macchina produttiva, e nemmeno la nostra vita quotidiana. Inoltre, si tratta di numeri sulla carta. All’inizio del 2019, l’Enea ha pubblicato un rapporto sulla domanda e offerta di energia in Italia riferito al 2018. Abbiamo consumato l’1 per cento di energia primaria in più rispetto al 2017. Ma sul fronte delle rinnovabili, a dieci anni dall’introduzione di sole e vento, dopo un conto già pagato di 100 miliardi e uno da pagare di 150, dopo tutti questi sforzi finanziari a carico dei cittadini siamo venuti a scoprire che “per la prima volta è in calo la produzione da fonti rinnovabili intermittenti (meno 1,3 terawattora, oltre il 3 per cento in meno sull’anno prima), soprattutto a causa della minore produzione solare (quasi il 5 per cento in meno)”.

 

La morale è che abbiamo creato un mostro, il catastrofismo ambientale, contro il quale non si può combattere. E per sconfiggerlo sono necessari quattrini che vengono regolarmente prelevati, in modo opaco, a una collettività impaurita da artigli immaginari. I nostri politici sono riusciti in un’opera molto complicata. In genere un pericolo sociale è molto più evidente quando esso si manifesta direttamente e non quando è necessario evocarlo con difficili proiezioni statistiche: ecco perché la politica è saltata come un sol uomo sulla pasionaria Greta. In modo opportunistico, si stanno toccando le corde giuste: la natura, il pianeta e la nostra presunzione di essere più forti e dunque più pericolosi della natura. La natura ha fatto sì che si estinguessero i dinosauri; noi siamo talmente potenti che faremo estinguere la natura stessa, e cioè il pianeta. A questo punto non resta, più prosaicamente, che far pagare l’elemento salvifico a chi vive oggi. Una piccola tassa e la natura, gli uomini, l’inquinamento, il riscaldamento, l’estinzione verranno debellati.

Ma c’è infine una grande domanda a cui nessuno risponde. Se i politici ritengono davvero che per colpa della produzione di CO2 generata dall’uomo il pianeta sia destinato a scomparire, perché invece di tassare non vietano? Posso forse tassare colui che mi punta la pistola alla tempia? No. Lo metto in galera.

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