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La rivoluzione agricola

Renzo Rosati

I tagli dell’Ue alla Pac fanno paura, ma potrebbero stimolare l’efficienza del settore

Con l’attenzione politica e mediatica concentrata su ecologia e digitalizzazione – secondo le intenzioni della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, gli investimenti in tecnologie verdi potrebbero essere in tutto o in parte scorporati dalle regole su debito e deficit, mentre la Germania annuncia un piano da 100 miliardi per finanziare entro il 2030 una riconversione ecosostenibile del sistema produttivo tedesco – c’è un settore del prossimo bilancio dell’Unione europea che rischia di passare in secondo piano, pur essendo per un paese come l’Italia non meno strategico. Si tratta dell’agricoltura, il cui bilancio è scandito dalla Pac (Politica agricola comunitaria) con tempi sfalsati, 2021/2027 (così come avviene per quello della Ue) rispetto ai cinque anni di mandato dell’Europarlamento e della Commissione. I suoi criteri sono stati indicati dalla Commissione Juncker ormai a novembre 2017, ma nel frattempo l’incertezza sulla Brexit si è acuita, la governance europea è cambiata e con essa, appunto, le priorità indicate a elettori e opinione pubblica.

 

Dunque è tutto in stand by: eppure, dei 1.135 miliardi del prossimo bilancio comunitario proposti nel 2018 a prezzi costanti (1.279 con una rivalutazione del due per cento d’inflazione, con la media Ue che però è al momento al di sotto di questo obiettivo), la politica agricola rappresenta la seconda voce di spesa dopo i fondi di coesione, cioè gli investimenti infrastrutturali. Nelle previsioni attuali l’agricoltura rappresenta nel bilancio 2021-2027 il 98 per cento del capitolo “Risorse naturali e ambiente”, pari a 378,9 miliardi; mentre il capitolo “coesione e valori” ammonta a 442,4 miliardi.

 

Dal “Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare italiano” presentato a luglio 2018 dall’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agroalimentare) emerge che il settore esprime un valore aggiunto che incide sul pil per il 2,1 per cento. In cifre assolute, si tratta di 61 miliardi di valore aggiunto, di cui 41 di esportazioni, e 1,4 milioni di occupati.

L’agricoltura rappresenta nel bilancio 2021-2027 il 98 per cento del capitolo “Risorse naturali e ambiente”, pari a 378,9 miliardi

Ma c’è anche l’altra faccia della luna sottolineata dall’Ismea: dal 2007 al 2017 gli investimenti fissi lordi sono scesi del 32,4 per cento contro i 23 dell’intera economia, e la loro incidenza sul valore aggiunto si è a sua volta ridotta dal 41,7 al 27,1. Anche l’aspetto finanziario non lascia tranquilli, con prestiti a medio-lungo termine ridimensionati del 28 per cento. Il che fa sì che nella catena del valore si stia producendo una gigantesca redistribuzione a valle, a favore della grande distribuzione, spesso costituita da multinazionali, mentre a monte per ogni 100 euro di prodotto acquistato dai consumatori solo 1,8 euro restano nelle tasche degli agricoltori e appena 1,6 euro in quelle dell’industria agroalimentare.

 

Da tempo il mondo agricolo indica i correttivi, sintetizzati nell’agevolazione degli investimenti, nell’utilizzo migliore dei fondi comunitari che vengono spesi, nella redistribuzione dei proventi dalla grande distribuzione all’accesso al capitale fondiario.

Così avere voce in capitolo nella definizione del futuro bilancio europeo e nella Pac 2021-2027 è una priorità per il commissario all’Economia per Paolo Gentiloni. Nella commissione von der Leyen l’Agricoltura è andata al conservatore polacco Janusz Wojciechowski, rappresentante di un paese in ascesa, con un ampio territorio agricolo.

 

Per il periodo-ponte del 2020, la Commissione aveva previsto tagli lineari che avrebbero penalizzato l’Italia per 2,7 miliardi

Per il periodo-ponte del 2020, la Commissione aveva previsto tagli lineari che avrebbero penalizzato l’Italia per 2,7 miliardi, pari al 5 per cento degli stanziamenti. Così il mondo agricolo si è mosso attraverso Paolo De Castro, europarlamentare del Pd, relatore del bilancio 2020 nella commissione Agricoltura di Strasburgo. De Castro ha un curriculum invidiabile: nato in una famiglia di imprenditori agricoli, ordinario di Agraria a Bologna, ex ministro dell’Agricoltura nei governi Prodi e D’Alema, co-autore di progetti internazionali sullo sviluppo agroalimentare, negoziatore per il Trattato transatlantico Europa-Usa (Ttip) – poi incompiuto –, rieletto alle europee del marzo scorso. Ora assicura: “Per il 2020 non ci saranno tagli. Quanto alla Pac 2021-2027 le risorse mancanti andranno compensate con altre fonti, a cominciare dalla tassazione dei giganti del web”.

 

Sui fondi europei le regioni italiane (in particolare sui piani di sviluppo rurale) hanno sempre difeso la propria competenza

Dunque si tratta di un dibattito sull’Europa non astratto e ideologico, ma molto concreto, specie per l’Italia. Lo stallo attuale deriva principalmente da tre cause: le difficoltà nel definire il bilancio 2021/2027 dovute alle conseguenze del buco generato dalla Brexit; la tentazione di ridimensionare politiche tradizionali come la Pac per finanziarie nuove sfide; l’incertezza sulla nuova governance della Ue, che vede un Parlamento da poco operativo, una Commissione appena nominata e un Consiglio composto da rappresentanti di governi in cui non c’è una solida maggioranza di riferimento. Secondo molti è impossibile che la nuova Pac sia decisa in tempo per entrare in vigore a gennaio 2021, per cui sarebbe scontata una proroga di almeno un anno dell’attuale politica per l’agricoltura.

 

Un ruolo non secondario lo avrà il nuovo Europarlamento, con effetti per nulla scontati: gli eurodeputati più euroscettici potrebbero spingere per ridurre la spesa di tutte le politiche europee, specie quelle più tradizionali come la Pac; la componente più sovranista potrebbe però essere sensibile all’opportunità di gestirla con maggiore autonomia a livello nazionale.

 

Ci saranno meno soldi per l’agricoltura? Guardando alle proposte della passata Commissione e confrontando i due periodi di programmazione, 2021/2027 rispetto a quello 2014/2020, il taglio a prezzi correnti è del 4,5 per cento per l’Ue e del 9 per l’Italia. Il maggiore sacrificio per il nostro paese si deve agli effetti della convergenza, ossia del meccanismo di avvicinamento alla media europea dei pagamenti per ettaro nei diversi stati membri. In effetti, il taglio proposto in termini percentuali è analogo a quelli che la Pac ha sperimentato negli ultimi vent’anni, dunque in linea con il declino di lungo periodo del suo peso sul bilancio Ue. Ma questa non è una consolazione: l’agricoltura, dicono dal settore, “ha già dato” in passato e non è giusto che paghi praticamente da sola il costo della Brexit: anche perché non si tratta solamente di un settore strategico sul fronte del pil ma, tanto più nella nuova ottica green, anche di un ramo produttivo capace di assicurare salvaguardia dell’ambiente, equilibrio territoriale, biodiversità e mitigazione del cambiamento climatico.

 

Nel frattempo è utile vedere che cosa la Commissione uscente ha proposto per la nuova Pac. Si dichiarano tre obiettivi generali: “Promuovere un’agricoltura intelligente, resiliente e diversificata che garantisca la sicurezza alimentare”; “Rafforzare la tutela dell’ambiente e le azioni per il clima”; “Rafforzare il tessuto socioeconomico delle aree rurali”. Gli obiettivi generali si articolano in altri 9 più specifici, di cui solo 4 sono direttamente rivolti agli agricoltori (sostegno al reddito, orientamento al mercato e alla competitività, miglioramento della posizione nella filiera agroalimentare, sostegno ai giovani agricoltori), mentre gli altri 5 riguardano temi quali ambiente, cambiamenti climatici, risorse naturali, biodiversità, territorio e paesaggio, inclusione sociale e occupazione nelle aree rurali. Un impianto che conferma una Pac sempre meno “agricola” in senso stretto e sempre più ambientale e territoriale.

 

Il settore, dicono gli operatori, “ha già dato” in passato e non è giusto che paghi praticamente da solo il costo della Brexit

Ma, al di là delle dichiarazioni, le sfide della futura Pac stanno soprattutto nella sua governance, che presenta appunto due importanti novità: il cosiddetto “new delivery model”, un sostegno più mirato e orientato al risultato, in termini di obiettivi da raggiungere e di indicatori con cui valutarli; un ampliamento dei margini di autonomia degli stati membri, esplicitamente chiamati a redigere un “Piano strategico nazionale” con cui applicare la Pac in modo flessibile, adattandola alle esigenze nazionali. In stati come Spagna, Germania, ma soprattutto Italia, dove molte competenze di politica agraria sono demandate alle regioni, è una rivoluzione copernicana. Sui fondi europei le regioni italiane (in particolare sui piani di sviluppo rurale) hanno sempre difeso strenuamente la propria competenza, rifiutando un coordinamento come quello che d’ora in avanti sarà necessario per redigere il piano strategico.

 

E’ comprensibile il timore delle regioni virtuose, quelle che hanno imparato ad applicare bene la Pac, a negoziare autonomamente con l’Europa e che non vogliono rischiare di rimanere impelagate in una nuova burocrazia imposta dall’alto. Ma proprio queste regioni, in nome della loro forza amministrativa, potrebbero essere capofila di un percorso che provi a mettere insieme un modello di coordinamento leggero ma efficace e condiviso; capace di salvaguardare le buone pratiche e contaminare” le realtà finora meno virtuose. In ogni caso l’esperienza della Conferenza stato-regioni, che spesso è stata la sede di compromessi al ribasso frutto dei veti incrociati di questa o di quella amministrazione, è superata. Essere costretti a fare sistema sarà una scelta obbligata per elaborare una strategia di politica agricola nazionale efficiente. E non perdere soldi.