Giovanni Tria alla chiusura dell’anno di studi della Guardia di finanza (Foto LaPresse)

Il governo scopre che per evitare la procedura deve rinnegare un anno di governo

Luciano Capone

Tria promette un taglio della spesa corrente e smentisce le ricette economiche dei gialloverdi

Roma. Il ministro dell’Economia è fiducioso. “Noi pensiamo che l’Italia rispetti in modo sostanziale le regole di bilancio europee e sono ottimista per questa ragione riguardo alla procedura europea”, ha dichiarato parlando a Villa Mondragone, l’annuale seminario di economia internazionale organizzato dall’università di Tor Vergata, il suo ateneo. “Non vedo ostacoli per un accordo con l’Europa – ha aggiunto Giovanni Tria – per un’economia a crescita zero l’obiettivo di un deficit pubblico del 2,1 per cento per l’anno corrente rappresenta una politica di bilancio più che prudente e noi arriveremo a questo livello di deficit grazie a una gestione prudenziale anche se stiamo implementando le politiche sociali programmate decise con l’ultima legge di bilancio”.  Il ministro ha inoltre piantato i paletti e indicato le direttrici lungo cui dovrà muoversi la prossima legge di Bilancio. Il primo impegno è il rispetto dei saldi di finanza pubblica concordati con l’Europa (quindi riduzione del deficit), che avverrà però abolendo l’aumento dell’Iva già approvato per il prossimo anno (“Stiamo lavorando per evitarlo”) e quindi attraverso il taglio della spesa: “Per il futuro l’idea è quella di tenere il deficit basso e continuare con l’obiettivo di diminuzione del debito non attraverso l’innalzamento delle tasse ma attraverso più basse spese correnti: questo è il nostro impegno verso il Parlamento e stiamo lavorando per soddisfare questo mandato con la prossima legge di bilancio”. All’interno di questo perimetro di bilancio, il governo – secondo le indicazioni di Matteo Salvini, già accennate nel Def – nella manovra punterà anche alla riduzione delle tasse (la cosiddetta flat tax).

 

Dalla credibilità di questo piano dipende la risoluzione in senso positivo del negoziato con l’Europa sulla procedura d’infrazione. Oggettivamente si tratta di un piano molto complicato e ambizioso, soprattutto perché al momento non sono noti grandi interventi strutturali sulla spesa ma solo il recupero di somme una tantum, derivanti da condoni o da extra dividendi di partecipate statali (dal Cdp alla Banca d’Italia). Ma se il ministro dell’Economia, che è persona attenta ai numeri e poco propensa a fare affermazioni campate in aria, si dice “ottimista” c’è da fidarsi, o quantomeno bisogna dargli il beneficio del dubbio.

 

Il problema però non è tanto il superamento dell’ostacolo della procedura d’infrazione recuperando all’ultimo minuto le risorse necessarie a far quadrare i conti, limando alcune spese o spremendo alcune società pubbliche (l’approvazione della legge di assestamento di bilancio, decisiva per tentare di evitare la procedura di infrazione, è stata ancora rinviata, probabilmente a lunedì). Ciò che davvero non si comprende è una questione che guarda un po’ più in là, al medio periodo. Ovvero: qual è la visione alla base delle scelte di politica economica di questo governo? Come pensa di favorire la crescita economica in un’orizzonte pluriennale e quali riforme sta attuando? Guardando ciò che è accaduto in un anno di governo e le intenzioni dichiarate nei documenti di finanza pubblica per il prossimo anno, purtroppo par di vedere che non c’è alcuna idea di sviluppo, nessuna strategia pluriennale, ma solo un approccio contraddittorio e schizofrenico determinato dagli umori dei leader politici e dalle circostanze interne e internazionali.

 

Se guardiano all’unica legge di Bilancio finora approvata si nota che è fondata sull’idea che la crescita (all’1,5 e poi all’1 per cento) sarebbe stata il prodotto di una politica fiscale espansiva (più deficit) per aumentare la spesa corrente (reddito di cittadinanza e quota cento). Ora, non solo la crescita non è arrivata (il pil per il 2019 sarà stagnante) ma il governo è impegnato a dimostrare, intendendola come una cosa virtuosa, di aver speso meno del previsto. Il che indica che è la stessa maggioranza ad essere consapevole che non è quella della maggior spesa in disavanzo la strada per la crescita. In pratica in un anno di governo la maggioranza gialloverde ha impegnato i primi sei mesi a lottare per spendere in disavanzo e i secondi sei mesi a tagliare la spesa in disavanzo che aveva messo a bilancio, producendo come effetto un crollo della fiducia, un’impennata dei tassi di interesse e l’aumento del debito pubblico. Ma non finisce qui. Perché adesso, per l’anno successivo il governo propone una politica di Bilancio di segno diametralmente opposto. Non una manovra espansiva per aumentare la spesa pubblica, ma una politica fiscale restrittiva (riduzione del deficit) che al contempo riduca la pressione fiscale tagliando la spesa corrente. Il contrario di quanto fatto finora.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali