Le Penseur - scultura in bronzo di Auguste Rodin nel cortile del Museo Nazionale di Kyoto (via Japanexperterna.se / Flickr)

Non contro l'Europa, ma contro un debito che li tiene sudditi dovrebbero ribellarsi gli italiani

Serena Sileoni

Non ci rendiamo conto, purtroppo, di quanto possa essere soffocante, per il nostro futuro e per il nostro presente, il peso di un debito insostenibile come il nostro

E’ stato ampiamente notato il tono reboante, a tratti “favolistico” (per riprendere la spiegazione di “supercazzola” fornita direttamente da un articolo del blog dei cinque stelle) della lettera che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha indirizzato in risposta alla possibilità di aprire una procedura per disavanzi eccessivi all’Unione europea.

   

Impossibile però pensare che non si sia trattato di una voluta strategia retorica. Difficile anche credere che Conte e Giovanni Tria l’abbiano accettata solo per compiacere i due premier ombra Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Una spiegazione possibile è pensare che con quella lettera il governo abbia parlato a nuora (l’Unione europea) perché suocera intenda (gli italiani).

   

Per uscire, almeno per qualche mese – che è poi l’orizzonte temporale concreto di questo governo – dall’impasse di una manovra estremamente onerosa con margini di disponibilità finanziaria ridottissimi non c’è che un modo. E non è scontrarsi a brutto muso con la procedura d’infrazione, costi quel che costi. Piuttosto, la via breve di fuga è mandare il ritornello delle colpe dell’Unione europea e degli altri stati partner perché gli italiani lo imparino a memoria e possano prepararsi a una manovra, stavolta sì, austera senza avere più la lucidità per attribuire le corrette responsabilità.

   

Le aspettative, si sa, sono nefaste. Servono tra i 40 e i 45 miliardi per coprire le spese, comprese quelle nuove per attuare la cosiddetta (impropriamente) flat tax, la new entry del taglio del cuneo fiscale e del salario minimo (promesse peraltre condivise dal Pd). Finora, si è individuato il modo di coprirne, nella migliore delle ipotesi, sì e no la metà.

  

Con queste premesse, è più che possibile che il governo, nonostante tutte le fantasiose voglie di cambiamento, ricorrerà al più tradizionale dei metodi: aumentare le tasse. Poco prima che lo ricordasse l’ex ministro Paolo Savona, Salvini aveva già lodato la ricchezza del risparmio privato degli italiani. Una roba da far venire l’acquolina in bocca a qualsiasi governo affamato. Di Maio ha assicurato che l’Iva non aumenterà. Per il 2019. E l’ipotesi di un aumento parziale dell’Iva o differito (cosa che potrebbe tranquillizzare in parte l’Unione europea) non è poi così peregrina. D’altro canto, gli altri stati membri dell’Unione non concederanno facilmente quello che proprio Di Maio vorrebbe, ovvero deficit in libertà, né si potrà altrettanto facilmente attuare un piano anti-euro, come vorrebbe la “nuova” Lega, per fare con la moneta ciò che non può farsi con l’indebitamento.

  

Che la lettera all’Unione europea non sia dunque uno dei passaggi per ammaestrare gli italiani ad accettare supinamente una delle manovre di bilancio più difficili da almeno vent’anni, in direzione peraltro contraria alle promesse del cambiamento? Se fosse così, alla sciagura della manovra dovremmo appunto sommare la tragedia di una coazione a ripetere che ci tiene imprigionati in un eterno schema di sudditanza. Non ci rendiamo conto, purtroppo, di quanto possa essere soffocante, per il nostro futuro e per il nostro presente, il peso di un debito insostenibile come il nostro. E non ce ne rendiamo conto perché, come ha linearmente ricostruito Giampaolo Galli, il debito pubblico si basa su una sorta di inganno che rinvia al domani il problema dei conti in disordine, con tutto quel che ne consegue in termini di oppressione fiscale, mancati margini e occasioni di investimenti e mancata fiducia verso il futuro e le nostre possibilità.

 

E’ immaginabile che, per una volta ancora, riusciremo a evitare la procedura di infrazione: la ricomposizione delle istituzioni europee gioca a favore in questo senso. Meglio una infrazione scongiurata che una cagionata, certo, ma se si mettono insieme le argomentazioni della lettera con le costanti in merito alle decisioni finanziarie prese quasi senza soluzione di continuità dai nostri governi, sarebbe meglio che siano gli italiani, prima ancora che i tedeschi o i francesi, a preoccuparsi e a svegliarsi da una ipnosi che, non da oggi, li tiene sudditi di sovrani solo apparentemente benevoli.

  

Serena Sileoni è vicedirettore generale istituto Bruno Leoni

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