Il presidente di Fca, John Elkann, ieri alla Bocconi a Milano (Foto LaPresse)

Grandeur senza danè. Salvini vorrebbe lo stato anche in Fiat

Mariarosaria Marchesano

Il governo italiano non ha capitale nel gruppo automobilistico e quindi nessuna voce in capitolo nella trattativa. Le contraddizioni leghiste sulla fusione tra Fca e Renault

Milano. È passato sorridente, il presidente di Fiat Chrysler, John Elkann, tra la piccola folla di giornalisti che lo attendeva all’ingresso dell’aula magna dell’Università Bocconi per assistere alla Lectio Inauguralis su concorrenza e monopolio promossa dalla Fondazione Agnelli per valorizzare i giovani talenti della ricerca economica. Quasi divertito, come chi riflette su una incredibile e, spera, fortunata coincidenza. “Dieci anni fa ero qui in Bocconi quando abbiamo annunciato che Fiat si alleava con Chrysler per creare un grande gruppo automobilistico a livello mondiale – ha detto alla stampa in un incontro che non prevedeva domande, considerato che l’operazione è in una fase molto delicata – Esattamente dieci anni dopo, il caso vuole che io sia ancora qui nel giorno in cui Fca ha annunciato che potrebbe allearsi con Renault per creare il terzo polo di auto al mondo, con la partecipazione di Nissan e Mitsubishi”.

 

E ancora: “Siamo stati molto incoraggiati da quello che si potrebbe fare tutti insieme in un settore in fortissimo mutamento come l’Auto. Abbiamo voluto agire con coraggio come abbiamo fatto nel 2009 con Chrysler, da cui abbiamo imparato che queste operazioni si possono fare, e sono benefiche. Non sono previste chiusure di stabilimenti”, ha aggiunto. Affermazioni che Elkann ha ripetuto nell’aula universitaria introdotto dal presidente della Bocconi ed ex premier Mario Monti, il quale ha voluto ricordare un discorso che Gianni Agnelli tenne nella stessa Università nel 1991, sulla “responsabilità politica della classe dirigente nell’economia”.

  

 

Non una parola di più sul dossier Fca-Renault da John Elkann, che è candidato a diventare presidente del nuovo gruppo nella fusione “alla pari” che è stata proposta al gruppo francese da Fca. In realtà, l’operazione ha già ottenuto il placet del governo francese, azionista di Renault con il 15 per cento, e sarebbe stata negoziata ed accettata. Un atteggiamento di maggiore apertura rispetto alle ostilità passate verso l’Italia, riguardanti per esempio la vicenda di Fincantieri per l’acquisizione dei Chantiers de l’Atlantique, la Stx France. Il presidente, Emmanuel Macron, conosce da tempo Elkann, dato che con lui e con lo scomparso Sergio Marchionne aveva discusso nel 2013 di un possibile ingresso di Fca nel capitale di Peugeot, all’epoca in grande difficoltà. Macron si muoveva come consulente del presidente François Hollande avendo alle spalle l’esperienza di banchiere in Rothschild. Proprio la strada del consolidamento indicata da Marchionne sembra guidare oggi le scelte di Exor nella convinzione che, per diventare più forti in un contesto di competizione globale, è indispensabile assumere una dimensione adeguata ottenendo riduzioni di costi dalle sinergie di carattere industriale che si possono creare. Un’alleanza quella tra Fca e Renault che, secondo il portavoce dell’Eliseo, Sibeth Ndiaye, promuoverebbe “la sovranità economica” dell’Europa dove “abbiamo bisogno di giganti”.

 

Ma di fronte a questa prospettiva, la Lega, appena uscita dalle elezioni europee come primo partito italiano, assume una posizione contraddittoria. Subito dopo l’annuncio, in mattinata, sia il viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia, sia il presidente della Commissione bilancio della Camera, Claudio Borghi, hanno cercato di produrre una difesa patriottica di facciata (“purché non vengano chiuse fabbriche in Italia e i francesi non facciano scherzi”). Di facciata perché lo stato italiano, a differenza di quello francese, non ha capitale in Fca e quindi nessuna voce in capitolo nella trattativa. Per di più, visti i rapporti incrinati con l’Eliseo, il governo a trazione leghista non avrebbe nemmeno le leve politiche per avere peso nell’operazione. Il vicepremier Matteo Salvini invece ha oscillato tra l’europeismo di maniera e un sussulto statalista, che non manca mai. “Un’operazione brillante” per creare “un gigante europeo dell’Auto”, ha detto. E poi ha aggiunto che – se fosse richiesta – una presenza dello stato nel deal sarebbe “assolutamente doverosa”. Peccato che nessuno abbia avanzato una simile proposta, e probabilmente mai l’avanzerà. Wishful thinking sovranista.

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