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Il ballo della fusione globale Fca-Renault è diretto dalla politica

Giuseppe Berta

L’idea del colosso franco-americano (e nipponico?) nella stagione della globalizzazione in cui i deal sono vigilati dagli stati

Fiat Chrysler e Renault sono due gruppi automobilistici la cui sorte è uscita rimodellata dalla stagione della globalizzazione. La prima ha assunto un profilo internazionale grazie al modo in cui ha affrontato la crisi del 2008-2009, che indusse Sergio Marchionne a giocare la carta americana; la seconda ha cambiato la sua prospettiva grazie al successo del risanamento di Nissan, operato da Carlos Ghosn quando la sorte della casa giapponese sembrava ormai compromessa.

 

 

E, in effetti, sia Marchionne sia Ghosn sono stati due tra i manager che si sono mossi con maggiore agio sullo scacchiere globale, in un gioco di alleanze fra imprese e continenti. La loro repentina uscita di scena l’anno scorso ha privato l’industria automobilistica di due protagonisti e, nello stesso tempo, ha accelerato il mutamento in atto del settore, sollecitato, da un lato, da un’intensissima fase di cambiamento tecnologico e, dall’altro, da una trasformazione negli assetti di mercato, dove tornano a pesare i radicamenti continentali e le politiche tariffarie.

  

L’incontro tra Fca e Renault disegna un nuovo scenario: i due gruppi possono trarre reciproco vantaggio dalle rispettive posizioni di mercato. Fca porta in dote la sua forza in nord e sud America. Renault ha dalla sua le radici nel mercato europeo e anche il presidio delle piattaforme elettriche utili a Fca

 

Così, l’intesa fra Fca e Renault, investita dalla luce dei riflettori in questi giorni, presenta un profilo originale, diverso dagli accordi fra imprese che si stilavano quando la globalizzazione era all’apice. Anzitutto perché in essa il ruolo della politica e delle istituzioni torna a essere importante: John Elkann ha affrontato la questione dell’eventuale fusione col presidente francese Emmanuel Macron perché è semplicemente impensabile che un gruppo come Renault, di cui lo stato è azionista, non rientri in una dinamica anche di tipo politico-economico. Come, del resto, è impensabile che il presidente americano Donald Trump non segua da vicino le vicende dell’Auto americana, su cui ha puntato il suo interesse fin dal giorno dell’elezione alla Casa Bianca.

 

Quando si toccano i problemi di assetto di un gruppo come Fca, un soggetto rilevante per l’industria americana, ci si misura con una logica nella quale occorre tenere conto delle proiezioni continentali e delle differenti politiche che le influenzano.

 

Nel caso di un matrimonio come quello tra Fca e Renault, per giunta, non ci si muove solo fra Europa e America, ma esiste anche una sponda asiatica da considerare.

 

Renault è infatti il senior partner di un’alleanza atipica, costruita da Ghosn grazie a un miracolo di equilibrio, che chiama in causa il polo giapponese formato da Nissan-Mitsubishi. Un polo che, col tempo, è diventato il perno dell’alleanza perché i risultati dei marchi nipponici sono stati essenziali nel determinare la crescita della squadra creata da Ghosn. Al punto da fare scattare l’insofferenza del management giapponese, che si è ritenuto penalizzato dall’asimmetria di responsabilità e di potere codificata in quell’alleanza anomala. L’arresto di Ghosn nel novembre scorso non sarebbe stato possibile senza l’aiuto prestato dal vertice giapponese della Nissan alle autorità giudiziarie, che hanno accusato il manager cosmopolita di un uso improprio e personale delle risorse aziendali. A determinare l’imprigionamento di Ghosn è stata la rivolta del sistema giapponese contro un meccanismo di governance che valorizzava l’egemonia francese, a scapito della performance di Nissan e Mitsubishi.

 

Così, nell’autunno scorso di colpo Renault si è trovata decapitata del suo leader d’impresa, con un congelamento di fatto dei meccanismi dell’alleanza. Quanto è stata rilevante questa situazione per far considerare con estrema attenzione la possibilità di un rafforzamento attraverso il rapporto con Fca? Probabilmente essa deve avere influito molto, proprio come l’omologa condizione di Fca che si è trovata sbilanciata sul versante americano, dove le sue attività sono forti grazie ai marchi Jeep e Ram, rispetto a quello europeo, dove la sua presa è invece calante.

 

Per questo, l’incontro tra Fca e Renault avviene disegnando un nuovo scenario, che si propone di trarre vantaggio dalla differente posizione di mercato che i due gruppi detengono. Fca porta in dote all’alleanza la sua forza nel nord e anche nel sud America, laddove Renault ha dalla sua le radici nel mercato europeo e, oggi, il presidio delle piattaforme elettriche, di cui Fca ha bisogno.

 

Naturalmente, le incognite sono numerose. Non si sa, per esempio, quanto durerà la fortuna nelle vendite di Suv, crossover, pickup, oggi ancora in fase positiva. Così come non si sa quale sia la capacità autonoma di innovazione di Renault, che ha beneficiato in questi anni del traino di Nissan. Toccherà adesso verificare in che modo l’alleanza franco-giapponese muterà nei prossimi tempi, perché è indubitabile che essa dovrà mutare, visto che Nissan ha già manifestato chiaramente di non volersi più rassegnare a un rango secondario. Già nel corso di questa settimana si capirà quale atteggiamento la casa giapponese vorrà tenere davanti alle nozze Fca-Renault.

 

E poi, certo, resta sul terreno il problema di una governance complessa come quella che richiederà il nuovo gruppo. John Elkann, com’era prevedibile, ne sarà il presidente, mentre Jean-Dominique Senard ricoprirà la carica di direttore. E’ noto che le operazioni di accorpamento tra strutture aziendali e organizzative con storie diverse non sono mai semplici e dunque può darsi che Senard, un navigato dirigente di 66 anni, abbia una funzione temporanea, in attesa che si definisca una nuova compagine manageriale.

 

I compiti manageriali, tuttavia, vanno visti anche in ragione delle attività del nuovo gruppo all’interno delle varie aree territoriali. Quale spazio potrà trovarvi l’Italia?

 

E’ una domanda alla quale è difficile dare risposta in via preliminare: il nostro paese ha oggi una produzione d’automobili ridotta, che per essere potenziata richiede azioni incisive. Fca aveva annunciato per lo stabilimento di Mirafiori la fabbricazione della Cinquecento elettrica: un progetto che rimarrà probabilmente in piedi, specie se potrà giovarsi delle competenze della Renault nelle piattaforme elettriche. Con quali conseguenze però per l’automotive torinese?

 

Alfa Romeo e Maserati richiedono investimenti consistenti allo scopo di arricchire la loro gamma d’offerta, che deve essere ampliata e rinnovata. Il nuovo gruppo è il soggetto che può mobilitare le risorse indispensabili a questo scopo?

 

Dalle risposte a questi problemi si potranno comprendere gli effetti che l’operazione Fca-Renault potrà esercitare sul sistema industriale di un paese come l’Italia, oggi alla ricerca di una presenza in uno scenario politico-economico in cui stenta a collocarsi.

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