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Cosa pensano i giapponesi della fusione Fca-Renault

Renzo Rosati

Il cda di Nissan si appresta a valutare il piano di Elkann, tra ostruzionismo e i costi di lasciare l’alleanza con i francesi

Roma. Solo domani il consiglio di amministrazione di Nissan esaminerà il piano di fusione alla pari tra Renault, sua azionista di maggioranza, e Fiat Chrysler Automobiles (Fca). Un’apparente freddezza che potrebbe preludere a due scenari: l’ingresso a pieno titolo nell’accordo, dettato anche dal fatto che Nissan è controllata al 43 per cento da Renault controllandone a sua volta il 15; o viceversa il disimpegno che passerebbe dalla riconquista dell’autonomia azionaria, operazione molto complessa e costosa. Una sorta di morso dello scorpione del caso Carlos Ghosn, l’ex ad prima di Nissan poi di Renault, mai realmente amato a Parigi (men che meno dal governo azionista al 15 per cento della casa francese), arrestato a Tokyo nel novembre 2018 per illeciti finanziari.

 

Al momento la lettera inviata da Fca a Renault riguarda il primo livello della fusione: che genererebbe un gruppo da 8,7 milioni di auto vendute, terzo al mondo dopo Volkswagen e Toyota, con vantaggi in sinergie negli acquisti, presenza sui mercati (Fca più forte negli Stati Uniti, Renault in Europa e Asia) e piattaforme (Renault è avanti nella tecnologia elettrica-ibrida, Fca ha marchi premium come Alfa Romeo, Jeep e Maserati), ma anche sovrapposizioni produttive che dividono molto gli analisti. Estesa al Giappone, e considerando che Nissan ha nominalmente il 34 per cento di Mitsubishi, partecipazione divisa a metà con la controllante Renault, la fusione darebbe vita al primo produttore mondiale: 15,6 milioni di veicoli, 649 mila dipendenti, 224 siti produttivi, 23 marchi e un mercato che abbraccia tutto il mondo, dall’America all’estremo oriente passando per Russia, Cina e ovviamente Europa.

 

Il gruppo controllato dalla Exor della famiglia Agnelli ha chiuso la giornata di Borsa in controtendenza rispetto al listino – penalizzato dal risultato delle elezioni europee e le relative preoccupazione per i conti pubblici italiani – con un rialzo del 7,98 per cento per arrivare a una capitalizzazione di mercato da circa 19 miliardi di euro. Il titolo della compagnia francese ha invece chiuso con un aumento del 12 per cento, e una capitalizzazione di circa 16,5 miliardi di euro.

 

Gli analisti sono generalmente positivi sull’operazione, ma con diverse sfumature dovuti ai dubbi ancora da risolvere. I report delle merchant bank sono infatti discordi: Citigroup parla di fusione “sconcertante” tra due case generaliste mentre l’ideale sarebbe stata Fca-Peugeot (che però è egualmente generalista, ancora più con l’acquisto della traballante Opel) nonché destinata ad affrontare ostacoli di Antitrust. Banca Imi pur alzando considerevolmente il target price sulle azioni Fca si sofferma sulla sovracapacità produttiva europea, considerando anche che i due contraenti si sono impegnati a mantenere intatti gli stabilimenti e che già fa il governo francese intervenne pesantemente su Ghosn quando questi intendeva delocalizzare. E la Cgt, secondo sindacato in Renault, ha già chiesto all’Eliseo di mantenere “una minoranza di blocco”. In una posizione mediana si pone Mediobanca Securities che in un’analisi di lunedì soppesa i pro e i contro. Per Mediobanca si tratta di un “good deal”, un buon affare, per Fca, con i maggiori benefici provenienti dalla condivisione delle piattaforme ibride e elettriche sulle quali Renault ha investito in anticipo e con importi superiori (5,2 miliardi contro 3,5); inoltre l’azienda del Lingotto avrebbe accesso ai mercati asiatici e russo, dove Renault è già forte indipendentemente da Nissan. Sull’altro piatto anche Mediobanca vede sovrapposizioni produttive – Renault ha 20 impianti in Europa di cui 14 in Francia e Fca 40 di cui 27 in Italia – nonché i problemi derivanti dalla presenza nell’alleanza dello stato francese che in uno scenario di guerre commerciali potrebbe non piacere alla Casa Bianca. Ma soprattutto Mediobanca è appunto convinta che Nissan potrebbe opporsi a un accordo che vedrebbe fatalmente le ridurre al minimo partecipazione e potere contrattuale all’interno del super-gruppo, dovendo dare in cambio vantaggi tecnologici (i Suv e la tecnologia ibrida) e di mercato (Nissan e Mistubishi sono egualmente ben presenti in America e Oriente).

 

E’ immaginabile che almeno all’inizio i giapponesi non srotoleranno tappeti rossi alla Renault, che in questo momento è in un certo senso trait d’union con Fca. Ma Nissan è ovviamente indebolita dall’essere controllata dai francesi, nonché dall’ombra lunga della vicenda Ghosn, il quale è stato percepito soprattutto come manager giapponese, essendo stato per diciotto anni ad di Nissan e avendone rinnovato gamma, tecnologie, immagine e profitti, sia pure con il taglio di 20 mila dipendenti. Dunque come per la Seconda guerra mondiale il fronte del Pacifico rischia di chiudersi ben dopo le strette di mano in Europa.

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