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Perché l'uscita europea dal carbone è complessa e necessaria

Simone Tagliapietra*

Per raggiungere l’obiettivo al 2050 Bruxelles deve organizzare (e finanziare) il collasso delle miniere dell’est

L’Europa vuole essere la prima grande economia del mondo a diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Considerando che l’80 per cento delle emissioni europee di gas serra proviene dal settore energetico, raggiungere questo obiettivo implica una rivoluzione dei modi in cui si produce l’elettricità e in cui si alimentano i trasporti, le industrie e gli edifici. Da un punto di vista tecnologico, questa rivoluzione è fattibile. L’eolico e il solare sono divenute tecnologie competitive sotto il profilo dei costi e anche le auto elettriche lo saranno presto. Il gas naturale potrebbe essere decarbonizzato in un futuro non troppo lontano attraverso biogas, biometano, idrogeno e altri gas “green”, mentre i combustibili sintetici potrebbero rappresentare un’altra valida alternativa sostenibile al petrolio nel settore dei trasporti. Anche le innovazioni nella digitalizzazione e nell’intelligenza artificiale contribuiscono a questa rivoluzione, consentendo integrazioni tra settori diversi e maggiore efficienza.

Non è la tecnologia, ma la politica il collo di bottiglia per il cammino dell’Europa verso la “carbon neutrality”. Basta guardare al settore della generazione elettrica, che rappresenta un quarto delle emissioni di gas serra in Europa.

 

Nell’ultimo decennio, il sistema elettrico europeo si è modernizzato ed è diventato più ecologico, ma ha anche mantenuto la sua componente più antica e inquinante: il carbone. La quota di questo combustibile fossile nel mix europeo di generazione elettrica si attesta al 25 per cento, quasi lo stesso livello di venti anni fa.

Il carbone continua a svolgere un ruolo importante nella generazione elettrica per diversi paesi europei: l’80 per cento in Polonia e oltre il 40 per cento in Repubblica Ceca, Bulgaria, Grecia e Germania. Finora, solo una dozzina di paesi europei – dalla Francia all’Italia, dai Paesi Bassi al Portogallo – si sono impegnati a chiudere completamente le loro centrali a carbone, quasi tutti entro il 2025-30. In Germania, un gruppo di esperti incaricato dal governo ha recentemente proposto la chiusura delle centrali a carbone su un orizzonte ancora più lungo: 2038. I paesi dell’Europa orientale, quelli che usano la quota maggiore di carbone per produrre elettricità, non hanno nemmeno discusso strategie di questo tipo.

 

Solo una dozzina di paesi europei si è impegnata a chiudere completamente le centrali a carbone, quasi tutti entro il 2025-30. In Germania al 2038. I paesi dell’Europa orientale, quelli che usano la quota maggiore di carbone per produrre elettricità, non hanno nemmeno discusso  

 

Serve un cambiamento, perché il ruolo del carbone nel sistema energetico europeo è disastroso per il clima, per l'ambiente e per la salute umana. Dal punto di vista climatico, il carbone è la fonte peggiore per generare elettricità, anche rispetto ad altri combustibili fossili. Una centrale elettrica a carbone emette il 40 per cento in più di anidride carbonica rispetto a una centrale a gas che produce la stessa quantità di elettricità. Altrimenti, si potrebbe dire che il carbone è responsabile del 75 per cento delle emissioni di CO2 nel settore elettrico europeo, ma produce solo il 25 della nostra elettricità. La generazione elettrica emette un quarto dei gas serra in Europa e perciò riveste un ruolo centrale per rendere “green” anche altri settori. La decarbonizzazione dell’elettricità è essenziale. D’altra parte, il passaggio alle auto elettriche sarà poco significativo se per alimentarle si ricorrerà al carbone.

 

Il carbone è anche dannoso per l'ambiente e la salute umana. In Europa, le centrali elettriche a carbone sono responsabili della maggior parte dell'anidride solforosa, ossidi di azoto e particolato rilasciati nell'aria. Questi inquinanti possono entrare nel corpo umano e causare vari problemi di salute, dal cancro ai polmoni agli attacchi di cuore. Eppure, diversi paesi europei continuano a sostenere la produzione di energia elettrica a carbone. Spesso argomentano questa posizione con la perdita di posti di lavoro nel settore minerario. Ma queste preoccupazioni non sono giustificate, dal momento che l’occupazione nel settore del carbone non è più un problema importante in Europa.

 

Il paese con il maggiore numero di posti di lavoro legati alla produzione di carbone è la Polonia, con circa 100 mila occupati. Un dato che rappresenta solo lo 0,7 per cento del totale dell’occupazione polacca. In tutti gli altri paesi, l’estrazione del carbone dà lavoro a meno di 30 mila persone, meno dello 0,6 per cento dell’occupazione totale. Certo, la chiusura delle miniere sarà dolorosa per quei lavoratori e quelle comunità da esse ancora dipendenti. Proprio per questo, l’Unione europea dovrebbe intervenire e offrire il proprio sostegno affinché le regioni minerarie possano affrontare agevolmente questa transizione. In questo modo il danno politico sarebbe ridotto e si incentiverebbero i paesi più dipendenti dal carbone ad avviare o accelerare i loro piani di phase-out.

Bruxelles non ha bisogno di trovare risorse finanziarie extra per sostenere la transizione delle regioni minerarie verso altre industrie. Ha solo bisogno di mettere insieme fondi esistenti, dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, da sempre sottoutilizzato, alla vasta e confusa galassia dei fondi strutturali, regionali e di coesione.

 

Il carbone è attualmente estratto in quarantuno regioni presenti in dodici paesi europei. Le persone impiegate nell'estrazione del carbone ammontano a circa 200 mila. Supponendo che la metà di queste andrà in pensione entro il 2030, resterebbero circa 100 mila posti di lavoro da eliminare gradualmente. Con un sostegno finanziario di 20 mila euro a persona, destinato alla riqualificazione e al supporto nella ricerca di un altro lavoro o nell'avvio di un’attività in proprio, il costo totale per sostenere la transizione dal punto di vista lavorativo sarà 2 miliardi di euro, meno dello 0,2 per cento del bilancio totale dell’Unione europea. Il cambiamento climatico è un problema globale complesso che ha bisogno di soluzioni internazionali. Ma è chiaro che il carbone deve essere abbandonato – e possibilmente in fretta. Con un fondo destinato alle regioni che dipendono ancora dalla sua estrazione, l’Unione europea contribuirebbe a rimuovere un ostacolo politico importante nel percorso per raggiungere la carbon neutrality entro il 2050. Così facendo, genererebbe anche vantaggi rilevanti per tutti i cittadini europei in termini di clima, ambiente e salute.

 

*Simone Tagliapietra, professore Johns Hopkins University – SAIS Europe, ricercatore presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e fellow presso il Bruegel

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