Olly Kotro, Jorg Meuthen, Matteo Salvini e Anders Vistisen (foto LaPresse)

L'indebitatissima Italia salviniana s'accoda ai sovranisti più rigoristi

Renzo Rosati

I primi a dire no a Salvini sono stati i suoi grandi amici sovranisti che hanno le idee molto chiare sulla situazione dei nostri conti pubblici

Roma. Matteo Salvini ha presentato a Milano l’accordo tra Lega, Alternative für Deutschland, Perussuomalaiset (Veri finlandesi o Finns) e Dansk Folkeparti (Partito del popolo danese), oltre al Rassemblement national di Marine Le Pen (assente ma della partita), come obiettivo di essere “forza di governo in Europa per cambiare le cose e dare una speranza”. In realtà ha consegnato ai suoi compagni di oggi la corda alla quale domani impiccare l’Italia, il suo debito pubblico – che ieri il Def ha rivisto al rialzo nel 2019 al 132,7 per cento del pil dopo che Banca d’Italia l’ha aumentato al 132,2 nel 2018 –, i suoi piani di governo a partire dalle ricette leghiste sui titoli di stato; di fatto la sua autonomia. L’esatto contrario dell’interesse nazionale sbandierato dal vicepremier.

 

 

Tutti e tre i partiti nordici hanno idee precise sui conti italiani e su quanto sta facendo il governo gialloverde: Alice Weidel, co-leader di Afd, chiede che la Bundesbank “ottenga dalla Banca d’Italia almeno 400 miliardi di garanzie collaterali sui prestiti della Bce”. Olli Kotro, presente al summit per Finns, ha ribadito la contrarietà “a unire i debiti e pagare per gli altri”. Df è per la sospensione dell’Unione bancaria. Quanto a Le Pen vuole la riduzione dei fondi all’Europa, una tassa sulle importazioni (la Francia è il secondo mercato del made in Italy) e sulla manodopera straniera. La “speranza”, se divenisse realtà, produrrebbe così sul piano economico la stessa situazione vista con gli immigrati: i primi a dire no a Salvini sono stati i suoi grandi amici sovranisti. Del resto le alleanze dei nazionalisti sono storicamente sfociate in guerre tra loro, compresi gli ultimi conflitti mondiali. Salvini queste cose presumibilmente le sa, così come sa che i suoi alleati sono destinati a non vincere le elezioni.

 

Ma anche per questo avranno mani più libere per aumentare nei propri paesi la propaganda che avrà per bersaglio l’Italia, come 10 anni fa la Grecia. Lo vedremo con le future cariche di Bruxelles e la successione alla Bce, nomine sulle quali l’Europarlamento ha con le nuove regole maggiori poteri. Per vincere una battaglia, fare della Lega il primo partito a Strasburgo (record già di Matteo Renzi, e non gli portò fortuna), il “capitano” guida l’Italia a perdere rovinosamente la guerra.

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