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Il Def del disincanto (condito con bufale)

Niente crescita e né occupazione con quota 100 e RdC. Lo dice il governo

Alla fine il ministero dell’Economia rimette le virgole e gli zeri al loro posto. Così per il 2019 il deficit, che Rocco Casalino e la legge di Bilancio avevano fissato al 2,04 per cento torna al 2,4 per cento, e la crescita economica che nell’ultimo documento ufficiale il governo aveva indicato all’1 per cento diventa 0,1 per cento nel quadro tendenziale. La stima sul pil poi sale allo 0,2 per cento nel quadro programmatico per effetto di due recenti provvedimenti, il “decreto crescita” e lo “sblocca cantieri”, che dovrebbero produrre un punto decimale di crescita aggiuntiva. Ma siamo sempre lì, attorno allo zero, al livello delle stime fornite da tutte le istituzioni internazionali contro cui si sono scagliati in queste settimane i principali esponenti del governo che ora approvano le stesse previsioni. D’altronde il Fondo monetario (proprio ieri) e altre organizzazioni internazionali confermano una crescita dello 0,1 per cento per quest’anno in Italia. Matteo Salvini esulta perché la “flat tax si farà” e “non ci sarà nessun aumento dell’Iva”. Si tratta di due bugie perché dalla bozza uscita dal Mef sulla flat tax ci sono poche parole e nessun numero e invece nel Def è ben presente l’aumento dell’Iva: “la Legge di Bilancio 2019 prevede un aumento delle aliquote Iva a gennaio 2020 e a gennaio 2021, nonché un lieve rialzo delle accise sui carburanti a gennaio 2020”.

 

Ma al di là delle polemiche, i dati presenti nella Documento di economia e finanza approvato ieri in Consiglio dei ministri sono da parte del governo una specie di atto di autodenuncia per la sconsideratezza della propria politica economica: aumento del disavanzo, aumento del debito pubblico, aumento della pressione fiscale, aumento della spesa per interessi (spread), aumento della disoccupazione, riduzione dell’occupazione, impatto praticamente nullo delle principali misure della manovra sulla crescita.

 

Partiamo da quest’ultimo punto: che effetto avranno sul pil il “reddito di cittadinanza” e “quota 100”? Secondo la valutazione del ministero dell’Economia l’impatto delle due misure sulla crescita sarà di appena lo 0,2 per cento: in pratica lo stato spenderà circa 11 miliardi (lo 0,6 per cento del pil) per avere una crescita di circa 3,5 miliardi (lo 0,2 appunto). Questo è, se tutto va bene, il grande “effetto moltiplicatore” di cui tanto parlano i partiti di maggioranza stimato dallo stesso governo. Inoltre i due provvedimenti, che secondo gli annunci del governo dovrebbero creare occupazione attraverso i fantomatici “navigator” e la mitologica “staffetta generazionale”, distruggeranno posti di lavoro. Secondo il Def, reddito di cittadinanza e quota 100 faranno diminuire l’occupazione dello 0,2 per cento e aumentare la disoccupazione dello 0,4 per cento (che nel 2019 salirà all’11 per cento). A questo bisogna aggiungere che l’esplosione della spesa corrente in deficit per finanziare il non-lavoro ha fatto schizzare verso lo spread, pertanto alla fine l’effetto complessivo di reddito di cittadinanza e quota 100 su crescita e finanza pubblica è senza dubbio negativo. Come una martellata sul dito (degli italiani).

 

Anche perché a fronte di benefici nulli e all’impatto negativo sul pil – che però il governo attribuisce alle “peggiorate prospettive di crescita del resto del mondo e del commercio internazionale” – la politica economica del governo espone il paese a un rischio enorme di sostenibilità del debito pubblico. “A prescindere dalle regole di bilancio, è necessario ridurre gradualmente il rapporto debito/pil per rafforzare la fiducia degli investitori in titoli di stato e abbattere gli oneri per interessi. I rendimenti a cui lo stato si indebita sono un termometro della fiducia nel paese e nelle sue finanze pubbliche. Inoltre, essi giocano un ruolo cruciale nel determinare le condizioni di finanziamento per le banche e le aziende italiane”. Il governo ammette ciò che ha sempre negato. Perché nei documenti ufficiali non può ignorare completamente la realtà. Dopo anni di stabilizzazione, il debito pubblico torna a salire e con una dinamica piuttosto preoccupante: “Il rapporto debito/pil nel 2018 è salito al 132,1 per cento, dal 131,3 del 2017” ed è “previsto salire al 132,7 per cento del pil pur includendo proventi da privatizzazioni pari all’uno per cento del pil”. Vuol dire che, al netto di privatizzazioni da 18 miliardi praticamente impossibili – nel resto del Def si parla infatti ottimisticamente di 0,3 per cento –, alla fine dell’anno il debito pubblico supererà abbondantemente il 133 per cento. E ciò che preoccupa di più gli investitori – e fa aumentare lo spread – non è tanto il livello del debito già di per sé elevato ma la sua dinamica, ovvero il fatto che continui a crescere. C’è sicuramente un rallentamento della congiuntura internazionale, ma questo aggrava le responsabilità di un governo che ha esposto il paese a rischi così grandi in una fase così delicata.