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Dagli Stati Uniti arrivano segnali di recessione

Mariarosaria Marchesano

Secondo il Financial Times l'instabilità che agita i mercati finanziari americani è direttamente connessa alla dinamica dei prezzi nel settore del mattone

Milano. I timori di un rallentamento dell'economia globale mettono in tensione i mercati, che stamattina in Europa hanno aperto con vistose perdite per poi riprendersi grazie all'Ifo tedesco - l'indice che misura il clima degli affari - risultato a marzo in salita rispetto a febbraio. In generale, però, gli investitori hanno letto nervosamente la nuova posizione della Federal Reserve sui tassi americani e sono ancora impressionati dai dati sul calo dell'indice manifatturiero dell'Eurozona che potrebbe arrivare a compromettere l'obiettivo di pil per il 2019 (già rivisto al ribasso dalla Commissione europea all'1,1 per cento rispetto al precedente 1,7 per cento). Inoltre, la settimana scorsa si è chiusa con l'inversione della curva dei rendimenti americani che ha fatto abbassare il tasso dei titoli decennali al 2,44 per cento, mentre quello a tre mesi è rimasto fermo al 2,47 per cento. Si tratta di un segnale di rischio di recessione.

 

A tutto questo potrebbe esserci una spiegazione che va al di là della congiuntura. Secondo il Financial Times, analizzando i dati sull’inflazione, negli Stati Uniti ci sarebbe un’ipotesi di instabilità finanziaria direttamente connessa a una possibile bolla immobiliare. Il concetto è stato ripreso stamattina dagli analisti di Not Stucky, società di asset management ginevrina secondo cui "a soli dieci anni dalla crisi dei mutui subprime, gli Stati Uniti rischiano una nuova bolla con conseguenze preoccupanti sull’economia globale". I motivi di questa situazione scaturirebbero, sempre secondo Not Stucy, dal fatto che nell’ultimo decennio le politiche monetarie accomodanti hanno sostenuto il valore degli immobili ma non sono state in grado di creare significativa offerta o comunque sufficiente domanda di nuove costruzioni per almeno due motivi.

 

Il primo è che l’incremento del prezzo delle case non è risultato in linea con quello dei salari. Si tratta di una situazione che la Fed avrebbe esasperato, sebbene non intenzionalmente, attraverso bassi tassi di interesse e Quantitative Easing "spingendo alle stelle i prezzi delle case soprattutto nelle città dove gli stipendi sono più alti". Inoltre, sempre secondo questa teoria, occorre considerare l'ingente debito accumulato dagli studenti per potersi permettere di andare al college. "Per tale ragione molti di essi, anche dopo aver completato il percorso di studi, non hanno la possibilità di acquistare case e si innesca così una riduzione della domanda e un aumento degli affitti in modo spropositato, togliendo la possibilità al paese, in ultima analisi, di creare nuova ricchezza in termini di proprietà immobiliari", scrivono gli analisti dal gruppo di investimenti elvetico.

 

Stamattina le Borse europee, dopo i cali in avvio di seduta, mostrano indici per lo più col segno positivo (Piazza Affari guadagna lo 0,4 per cento) anche se restano penalizzate dal fatto che gli investitori stanno cercando porti sicuri. Come fa notare anche Bofa Merrill Lynch in una nota, sui mercati è scoppiata una vera caccia al rendimento fisso con forti acquisti sui titoli obbligazionari e vendite sui listini azionari. Un effetto, quindi, di segno diametralmente opposto. La minor propensione al rischio che penalizza le Borse è dettata da un elevato numero di fattori d'incertezza. La Brexit è una di questi. Come dice David Madden, analista di Cmc Markets UK, "Bruxelles tiene duro, ma l'Eurozona sta faticando e Francia e Germania sarebbero gravemente colpite da una Brexit senza accordo. Gli annunci economici hanno generato onde d'urto in tutta Europa e sia gli indici azionari che l'euro hanno subito conseguenze".