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Quel Fatto in Borsa

Mariarosaria Marchesano

Il giornale di Travaglio&C. penalizzato dall’incertezza causata dal governo che sostiene

Milano. Nella vita arriva prima o poi per tutti il momento in cui si è costretti a ridimensionare i propri sogni, a prendere atto della realtà, l’importante è stare nel gioco, portare a casa un risultato, anche se non è proprio quello sperato. Deve averla presa così, con filosofia, Marco Travaglio quando lunedì sera gli advisor gli hanno comunicato che il collocamento delle azioni del “suo” giornale, Il Fatto Quotidiano, fondato nel 2009 con Antonio Padellaro e Peter Gomez, ai quali si è aggiunto poco dopo Marco Lillo, era andato benino, ma che non si poteva certo dire che gli investitori avessero fatto la fila davanti alla porta. Così, Travaglio e tutto lo stato maggiore del Fatto si presenteranno oggi nella sede della Borsa a Milano per festeggiare (alla grande, si sente dire) il debutto della Seif, la società editrice amministrata da Cinzia Monteverdi, anche lei componente del nucleo storico. Per questa volta, i giornalisti “indipendenti” si troveranno dall’altro lato della barricata, sotto i riflettori dei media per attendere l’inizio delle contrattazioni e vedere quale strada imboccherà il titolo nelle prime battute (test fondamentale per una società debuttante). Ma in fondo il bicchiere è mezzo pieno e non è poco.

 

Nelle casse del gruppo editoriale finiranno comunque 2,9 milioni di euro, che serviranno a finanziare progetti per la crescita in chiave digitale, diversificare con la produzione televisiva, anche conto terzi, e potenziare l’edizione cartacea con l’apertura delle cronache di Roma e Milano. Vuol dire, forse, che un listino come l’Aim, dedicato alle piccole imprese con elevato potenziale di crescita, può rappresentare una fonte alternativa di finanziamento anche per editori che hanno buone idee, conti in ordine e visione strategica. Poco importa se la somma che il Fatto è riuscito a portare a casa vendendo a soci terzi il 16,2 per cento del capitale, rappresenti all’incirca la metà dell’obiettivo annunciato appena un mese fa (tra 5,5 e 6,5 milioni per il 25,7 per cento del capitale) e meno di un terzo rispetto ai 10 milioni preventivati la scorsa estate. Anche il prezzo riconosciuto dal mercato alle azioni della Seif si colloca nella parte bassa della forchetta di prezzo proposta, cioè 0,72 euro (il range era tra 0,72 e 0,88 euro).

 

Che cosa è successo? L’amministratore delegato Cinzia Monteverdi ammette in un colloquio con Il Foglio di essersi trovata di fronte a un bivio e di avere scelto di andare avanti comunque. “Quando abbiamo capito che il sentiment del mercato non era quello che ci aspettavamo, abbiamo deciso che 3 milioni possono bastare per avviare il percorso di crescita. In fondo, la società dispone anche di risorse proprie e non è escluso che più avanti potremo decidere di collocare una ulteriore tranche di capitale se le condizioni di mercato lo consentiranno”, dice la manager.

 

Insomma, forse poteva andare meglio se le condizioni di mercato non fossero così avverse. Da giornalisti Travaglio&C. sanno bene che a Piazza Affari le ipo hanno cominciato a contarsi con il lanternino da quando si è insediato il governo-giallo verde che dal Fatto è anche sostenuto. Sanno anche che fino a pochissimo tempo fa il segmento Aim di Piazza Affari, che ad aprile 2018 ha festeggiato 10 anni di vita, è stato a lungo quello più gettonato dagli investitori, italiani ed esteri, grazie anche alla grande liquidità messa in circolazione dai Pir, piani individuali di risparmio. Proprio l’Aim oggi è in subbuglio grazie ai decreti che il governo sta per emanare che ne potrebbero modificare le caratteristiche. “In effetti, non posso negare che dovevamo quotarci alla fine del 2018 – dice Monteverdi – ma il momento di grande incertezza ci ha fatto desistere e abbiamo rinviato di qualche mese – sappiamo che potevamo ottenere di più ma ci accontentiamo ed è comunque un bel risultato”.

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