Il nuovo commissario dell'Inps, Pasquale Tridico (Foto LaPresse)

Inps politicizzato

Redazione

Con le nomine dei nuovi vertici vanno in pensione indipendenza ed esperienza

Dopo un mese di tira e molla l’Inps ha un nuovo vertice, spartito tra 5 stelle e Lega. Un vertice ponte: Pasquale Tridico, designato da Luigi Di Maio, non ne diviene infatti presidente come annunciato da tempo, ma commissario; mentre Adriano Morrone, di nomina leghista, dopo la rinuncia di Mauro Nori, sarà il subcommissario: in attesa che entri in vigore la riforma gialloverde che ripristinerà un cda di quattro membri indicati dal governo. L’Istituto che gestisce 230 miliardi di contributi annui ed eroga pensioni e prestazioni assistenziali, dopo settimane di vacatio, si trova ad agire in regime straordinario mentre partono le misure chiave del reddito di cittadinanza e di quota 100: il cui controllo, verifica contabile e sostenibilità sono affidati proprio all’Inps. I nuovi capi dovrebbero essere attenti controllori di chi chiede il reddito e la pensione di cittadinanza come di chi va in pensione anticipata.

 

Entrambe le misure sono finanziate in deficit, ma soprattutto il sussidio a 5 stelle almeno per un anno rischia di pescare nel bilancio Inps, dunque nei contributi di imprese e lavoratori. Gli stessi funzionari hanno riferito in Parlamento che solo tra un anno l’Istituto potrà svolgere i controlli e accedere alle banche dati; figurarsi farsi restituire i soldi dai furbi. Si andrà adesso – e in gran parte a regime – per autocertificazione, mentre i navigator (decimati nel numero e semiaffondati nelle funzioni) dovrebbero procurare quei lavori che finora non sono stati in grado di trovare per loro stessi. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio solo il 26 per cento dei beneficiari sarà coinvolto nella ricerca di un’occupazione. Di Maio, dopo aver accusato l’impolitico Boeri di partigianeria politica, aveva promesso una gestione imparziale. Poi ha messo a capo dell’Inps Tridico, economista organico al M5s, già fantaministro grillino del Lavoro e consulente di Di Maio sul reddito di cittadinanza. La Lega si è tenuta un po’ alla larga. Aveva un ottimo candidato in Alberto Brambilla, molto competente di previdenza ma troppo indipendente; aveva Nori che garantiva esperienza amministrativa. Entrambi out. Avevano due grandi difetti per l’èra gialloverde: indipendenza ed esperienza.

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