Angela Merkel e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Perché non basta vestirsi da merkeliani per fare come la Germania

Veronica De Romanis

Dietro alla svolta gialloverde verso la cancelliera c’è una manovra negativa per giovani, donne e demografia

Si può parlare solo bene della Germania e del governo tedesco”, ha detto il premier Conte a un giornalista del settimanale Zeit. Anche perché, ha aggiunto, “della sua cancelleria ci si può fidare, tanto che le ho dato una delega di voto al Consiglio europeo di dicembre”. Le parole del premier segnano una forte discontinuità con la narrazione prevalsa fino a ora della Germania cattiva e predominante. Durante la campagna elettorale, ma anche una volta al governo, i due vicepremier non hanno perso occasione per attribuire alla Germania colpe di varia natura: dall’imposizione dell’austerità (che, peraltro, dal 2014 in poi in Italia non c’è stata) alla mancata crescita derivante dal surplus commerciale tedesco. Questa intervista rappresenta, pertanto, un cambiamento nei rapporti con Berlino.

 

Ma se la Germania descritta da Conte non è più un paese da guardare con sospetto, forse potrebbe diventare un paese da cui “importare” alcune misure di politica economica, in particolare quelle sull’occupazione. Del resto, i dati parlano chiaro: il mercato del lavoro tedesco è particolarmente dinamico, soprattutto per quanto riguarda i giovani e le donne. Basti pensare che negli ultimi dieci anni, la disoccupazione giovanile in Germania è diminuita del 34 per cento (dal 10,4 del 207 al 6,8 del 2017) mentre in Italia è aumentata del 60 (dal 21 al 34,7 per cento). Segnali poco confortanti arrivano anche dai dati sull’occupazione femminile: in Germania, è aumentata di quasi 9 punti percentuali (dal 66,7 al 75,2 per cento) mentre in Italia solamente di 2 (dal 50 al 52 per cento), contro un incremento medio europeo di circa 7 punti percentuali.

 

Simili tendenze dovrebbero indurre il governo gialloverde a mettere il lavoro al centro dell’agenda di politica economica. Nella manovra, invece, le priorità sono l’assistenzialismo e il welfare. Eppure, Bruxelles da anni nel Rapporto sull’Italia “raccomanda” l’adozione di interventi volti a favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani e delle donne. Nelle Raccomandazioni del maggio scorso, la Commissione europea ha sottolineato la necessità d’intervenire sulla disoccupazione giovanile (in particolare sui Neet, i giovani che non lavorano e non studiano), tra le più elevate della zona euro e sull’occupazione femminile, tra le più basse della zona euro. In particolare, l’istituzione comunitaria ha posto l’accento sulla mancanza di una visione strategica volta a riconciliare la vita familiare e quella professionale delle donne italiane. Peraltro, secondo Bruxelles, misure singole e temporanee, come i bonus bebè, difficilmente potranno incidere sul tasso di natalità fermo a livelli bassissimi da oltre venti anni: i dati dimostrano che vi è uno stretto legame tra la crescita dell’occupazione femminile e quella del tasso di natalità.

 

Nessuna delle suddette raccomandazioni è stata tradotta in azioni concrete nella Legge di Bilancio, a riprova che la manovra non è stata scritta a Bruxelles, bensì a Roma: “Questa è la manovra che volevamo”, ha dichiarato il premier Conte in occasione della conferenza stampa di fine anno. Il governo, infatti, per le donne e i giovani fa davvero poco: delle donne si parla solo in quanto mamme, mai in quanto lavoratrici (ma cosa pensano le ministre del governo? che ruolo hanno mente per le donne in Italia?), dei giovani si parla solo in relazione agli anziani che vanno in pensione. Le (poche) norme esistenti a favore di questi ultimi vengono persino depotenziate: la riduzione delle ore per l’alternanza scuola-lavoro, misura che ha contribuito in maniera significativa alla riduzione della disoccupazione giovanile in Germania, ne è una dimostrazione. Peraltro, ai giovani il governo fa pagare il costo maggiore visto che le due misure principali della manovra - il pensionamento anticipato degli anziani e il reddito di cittadinanza - sono finanziate in disavanzo e, quindi, a debito. Maggiore debito significa – per usare le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso di fine anno – “un’ipoteca sul futuro dei nostri giovani”. A questo proposito, vale la pena ricordare come la cancelliera Merkel contribuì alla riduzione del debito pubblico tedesco anche attraverso l’implementazione della riforma delle pensioni. Sei mesi dopo la sua elezione, andò in Parlamento e disse: 1) la popolazione tedesca invecchia; 2) la popolazione tedesca è in calo; 3) le persone attive che pagano i contributi diminuiscono; 4) la speranza di vita cresce. “A fronte di questi dati, la Germania – affermò la Merkel – ha tre opzioni: incrementare il debito, incrementare i contributi oppure innalzare l’età pensionabile da 65 a 67 anni”. Fu scelta la terza anche se si optò per un’attuazione molto graduale. I suddetti dati descrivono perfettamente anche la situazione italiana. Il premier Conte, però, non è ancora andato in Parlamento a snocciolarli. A questo punto, a chi interessa il futuro dei giovani, non resta che sperare in una seconda delega.