Sulla riforma dell'Eurozona l'Italia ha alleati a Bruxelles che ignora

Marco Cecchini

Due sospiri di sollievo per il nostro paese dal vertice dell'Ue. Le parole di Marco Buti sui prossimi passi

Roma. Pierre Moscovici non ha tutti i torti quando dice che lui è una colomba ed è tra i pochi sostenitori dell’Italia dentro la Commissione. Lui e il suo direttore generale agli Affari economici e finanziari, l’italiano Marco Buti, condividono una fama di falchi che forse non meritano del tutto. Lo si è visto anche sulle misure per la riforma dell’Eurozona che il Consiglio dei capi di stato ha approvato ieri, misure proposte dai ministri finanziari su input proprio della Commissione. Si tratta di un pacchetto che segna qualche piccolo passo avanti in direzione di un ridisegno dell’Eurozona, insufficiente e inferiore alle attese certamente, ma che è frutto di una mediazione, per la quale Bruxelles si è molto spesa, tra le posizioni più estreme del blocco dei paesi nordici e le esigenze della periferia sud indebitata.

 

Il documento prevede un rafforzamento del ruolo dell’Esm (il così detto Fondo salvastati) che potrà agire, sia da paracadute finanziario del Fondo di risoluzione bancario, sia a favore dei paesi “in regola con i criteri europei” in funzione di prevenzione delle crisi. Sulla creazione di un bilancio comune, invece, si è fatto solo un passettino i cui contorni sono da definire, mentre di assicurazione comune dei depositi bancari per ora non se ne parla. Grazie anche all’appoggio della Francia, è caduto del tutto il progetto sostenuto dall’Olanda di ristrutturazione automatica del debito dei paesi in difficoltà: il pacchetto rinvia anche al 2022 l’introduzione di speciali clausole (Cacs) nei contratti dei titoli di stato finalizzate ad agevolare le ristrutturazioni senza automatismi. Per l’Italia una bocciatura e un rinvio che equivalgono a un doppio sospiro di sollevo.

 

La riforma dell’Eurozona resta il campo di battaglia sul quale si confrontano due linee opposte. Ci sono i puristi di Maastricht guidati dall’Olanda sotto lo sguardo benevolo di Berlino che non senza qualche ragione vorrebbero una più rigida applicazione dei criteri fiscali e una maggiore disciplina di mercato. Ovvero sì a processi di convergenza fondati sulla svalutazione interna, no all’assicurazione comune dei depositi, fine dello status risk free per i titoli di Stato e meccanismi di ristrutturazione automatica del debito in caso di crisi. Una concentrazione di veleno per il nostro paese. Poi ci sono i puristi di una Unione monetaria federalista le cui parole d’ordine sono: più coordinamento delle politiche fiscali, piena unione bancaria, maggiore condivisione dei rischi fino a una possibile mutualizzazione del debito, sì a un ministro delle Finanze dell’euro.

 

Secondo Marco Buti, che lunedì è intervenuto a un dibattito su “Sovereign debt crises” organizzato dall’Istituto affari internazionali (Iai) con la sponsorship di Banca Intesa, “sia il primo sia il secondo approccio sono economicamente e politicamente irrealistici”. La riforma dell’euro è necessaria per rafforzare i processi di prevenzione e gestione delle crisi, soprattutto dopo che l’aumento registrato dal debito europeo a seguito della crisi 2008 ha messo a rischio la posizione di alcuni paesi membri.

 

Ma secondo la Commissione la riforma della Unione monetaria prevede due passaggi chiave: “Il completamento dell’Unione bancaria e lo scioglimento del legame tra debito sovrano e banche” da una parte, e una “vera unione dei mercati dei capitali” dall’altra. “Queste riforme richiederanno tempo – avverte Buti – Introdurre meccanismi di ristrutturazione del debito sovrano in loro assenza favorirebbe le crisi finanziarie piuttosto che prevenirle e contenerle con il risultato di aumentare i salvataggi”. Ovvero l’esatto contrario di quello che si propongono i fautori di un ritorno alla purezza d Maastricht. Forse il governo gialloverde ha a Bruxelles alcuni alleati e non lo sa o finge di non saperlo.

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