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Non c'è economia circolare senza inceneritori

Maria Carla Sicilia

Uno studio calcola il fabbisogno impiantistico necessario per smaltire i rifiuti prodotti in Italia. E spiega perché un approccio politico non genera soluzioni ma solo illusioni 

Per il M5s, che alla difesa dell'ambiente dedica una delle sue cinque stelle, sarà sorprendente apprendere che gli inceneritori servono per promuovere l'economia circolare. Nuovi termovalorizzatori non sono una panacea – sono indispensabili nuovi impianti di riciclo per gli scarti organici – ma non se ne può fare a meno per smaltire la quantità di rifiuti che l'Italia produce. I conti li ha fatti Ref Ricerche in un rapporto sull'economia circolare, stimando che servono almeno quattro nuovi impianti di incenerimento per poter smaltire 1,7 milioni di indifferenziata e 53 nuovi impianti di digestione anaerobica per i 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti organici prodotti ogni anno. Una previsione che si basa su due presupposti: il mantenimento della produzione di rifiuti urbani ai livelli attuali e della capacità impiantistica esistente. 

    

Lo scenario è tuttavia ottimistico. Come nota l'istituto di ricerca, la produzione di rifiuti urbani tra il 2014 e il 2016 è aumentata del 3 per cento, in linea con l'aumento del pil nazionale e dei consumi. Immaginare quindi che la quantità di spazzatura resti stabile presuppone che la sua produzione sia svincolata dall'attività economica, se non ci si augura un suo rallentamento. Serve inoltre che la capacità degli impianti rimanga tale, nonostante le numerose chiusure annunciate dalle amministrazioni locali, e che il sud migliori i risultati in termini di raccolta differenziata.  

    

L'approccio tecnico e non politico resta comunque l'unica via percorribile per strutturare un piano realistico che liberi le città dalle ricorrenti emergenze. "Spesso le previsioni di riduzione dei rifiuti sono motivate da valutazioni di carattere politico più che tecnico, per affermare la volontà di perseguire politiche ambientalmente virtuose – si legge nel rapporto – senza declinare le azioni a ciò necessarie, con il risultato di sottostimare la dotazione impiantistica necessaria e l'esigenza di servizi". Prevedere tassi alti di raccolta differenziata e la riduzione dei rifiuti urbani prodotti, come fanno alcune regioni nelle loro pianificazioni in materia, non ripaga se poi le stime restano disattese. Le direttive europee fissano due obiettivi al 2035: riciclare il 65 per cento dei rifiuti e non superare la soglia del 10 per cento per gli invii in discarica.

   

Le buone intenzioni potrebbero non bastare, mentre sostenere una gestione industriale capace di investire nello sviluppo degli impianti è quanto indica Ref Ricerche. "La prospettiva di rendere circolare l’economia suggerisce l’opportunità di una Strategia nazionale in materia ambientale, che punti alla prevenzione e al riuso ma che al contempo sostenga la gestione industriale, per realizzare gli impianti necessari al riciclo e all’incenerimento – ha commentato Donato Berardi, direttore del Laboratorio sui servizi pubblici locali di Ref Ricerche – Diversamente meglio ammettere che preferiamo le discariche”.

 

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