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Così l'Italia gialloverde è diventata una zavorra per l'Europa

Renzo Rosati

Nel 2019 avremo il deficit più alto e il pil più basso del continente. Il governo smentito parla di “défaillance tecnica” della Commissione

Roma. La sfida tra Italia gialloverde e il Resto del mondo si rinnova tra Bruxelles, Washington e Roma, ma il risultato lo sapremo tra il 21 novembre (data dell’ormai probabile avvio della procedura d’infrazione della Commissione europea contro il nostro paese), la primavera prossima (entrata in vigore della procedura) e luglio 2019, quando le agenzie di rating inizieranno a rivedere i giudizi sul debito sovrano, industrie e banche: incombono due outlook negativi, di S&P’s e Ficht, cioè possibili nuovi declassamenti dopo quello di Moody’s.

 

In questa prima parte di match la Commissione di Bruxelles, con le previsioni d’autunno, ha peggiorato le stime di crescita, deficit e debito italiane. Come quelle di quasi tutto il resto d’Europa; sennonché l’Italia si troverebbe in coda, assieme al Regno Unito, per pil: più 1,2 rispetto all’1,5 previsto dal governo; l’Eurozona dovrebbe crescere in media del 1,9 e l’Ue del 2 per cento. Una frenata generalizzata dovuta al rallentamento del ciclo espansivo, ai dazi, alla risalita dei tassi, in parte alla temporanea caduta nella produzione di automobili, ma nella quale la Germania realizzerebbe un più 1,8, la Francia un più 1,6, la Spagna il 2, l’Irlanda un impressionante 4,5, tanto per fare esempi. Irlanda dove l’88 per cento della popolazione approva il progetto europeo, la percentuale più elevata nell’Eurozona, come ha ricordato il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, a Dublino.

 

Il governo ha reagito alle previsioni della Commissione con un comunicato del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che abbandona i toni felpati: “Analisi non attenta e parziale, ci dispiace constatare questa défaillance tecnica”. E comunque il deficit resta al 2,4 per cento perché “così è stato autorizzato dal Parlamento”. Bruxelles individua il disavanzo 2019 al 2,9 per cento, rispetto all’1,9 stimato a fine 2018: scostamento di mezzo punto di pil che pone l’Italia immediatamente a ridosso del tre per cento, limite non tanto del percorso di rientro deciso negli ultimi anni ma dello stesso trattato di Maastricht. Limite che secondo la Commissione verrà superato nel 2020, con il 3,1, secondo peggiore risultato dopo la Romania. Causa la minore crescita (1,3 rispetto alla previsione governativa dell’1,6) ma anche al “progressivo deterioramento del disavanzo strutturale (al netto del ciclo economico), del più alto rischio dei titoli di stato, del minor controllo sulla spesa pubblica”. Per queste ragioni il debito nei prossimi due anni, invece di scendere, dovrebbe rimanere fermo al 131 per cento del pil, cioè un punto più di quanto fissato nell’ultimo Def e sei più di quanto promesso dal governo Gentiloni.

 

E proprio il debito, è stato oggetto del richiamo di Draghi a Tria (“i paesi altamente indebitati hanno una responsabilità in più rispetto ai parametri europei”).

 

Insomma, Bruxelles non crede agli affetti espansivi della manovra, della quale esamina i dettagli, dal reddito di cittadinanza alle pensioni, alla mancata riduzione fiscale per le imprese, al rallentamento degli investimenti e dei contratti di produttività, fino alle rare misure positive come la fatturazione elettronica. Mentre vengono segnalati rischi per le banche, cui potrebbe mancare la liquidità per sostenere famiglie e imprese, una stretta già in atto. “I tassi di interesse per i nuovi prestiti in Italia e in Spagna sono saliti un poco ad agosto”, dice la Commissione. Ancora meno crede al governo italiano il Fondo monetario internazionale, che sempre ieri nell’Economic Outlook sull’Europa ha confermato al ribasso le stime sull’Italia: pil all’1,2 quest’anno, all’uno nel 2019, allo 0,9 nel 2020. Non solo. L’istituto di Washington rispolvera per l’Italia il termine “contagio”.

 

La bocciatura europea e del Fmi (che è un organismo intergovernativo e in casi estremi ha l’autorità di recuperare i debiti verso creditori esteri) riporta in area critica il settore bancario: ieri ha fatto registrare i maggiori ribassi mentre lo spread si riavvicinava a 300 punti. Daniel Gros, economista tedesco né falco né gufo, scrive sul webmagazine Luiss Open che “benché lo scontro con l’Europa sia sempre più vicino, anche la procedura d’infrazione si rivelerebbe un inefficace scambio di carte. La politica di bilancio spetta al parlamento italiano a differenza di altri campi (esempio, aiuti di stato ad Alitalia) dove prevale il potere di veto europeo. Ma proprio il parlamento è messo di fronte alle proprie scelte. Se non ci sarà una ripresa della crescita, se il premio di rischio aumenterà ulteriormente e se il paese ricadrà in un’altra crisi la responsabilità non sarà di Bruxelles, ma di Roma”. Per la cronaca: le ultime sfide calcistiche Italia-Resto del mondo si sono concluse 3-5 nel 2018 e 6-12 nel 2016.