La sede Banca Unicredit di piazza Cordusio (foto LaPresse)

Le turbolenze legastellate colgono in contropiede il settore bancario

Mariarosaria Marchesano

Nel momento in cui le banche stavano recuperando sono arrivate le perdite in Borsa. Un nuovo studio di Bain&Company

Milano. Se non fosse per le perdite subite in Borsa negli ultimi mesi, in particolare nella seduta di ieri in cui Piazza Affari ha perso il 3,7 per cento e bruciato 22 miliardi di capitalizzazione con i titoli delle maggiori banche colati a picco (Intesa Sanpaolo meno 8,44 per cento; Ubi meno 7,84; Unicredit meno 6,73) si potrebbe dire che gli istituti di credito italiani nel complesso siano sulla buona strada e che stiano accorciando le distanze con i competitor europei sul piano della gestione industriale e della capacità di produrre risultati.

  

  

Nel 2017 le principali banche del nostro paese, nel loro aggregato, hanno cominciato a guadagnare, grazie a interventi che hanno migliorato i modelli di business, ridotto i costi e alleggerito almeno in parte la zavorra dei crediti deteriorati. In base alla rilevazione fatta da Bain&Company sui principali dieci istituti italiani, nel 2017 sono stati prodotti complessivamente 27 miliardi di utili che hanno capovolto il risultato finale dell’anno precedente passando da un rosso di 14,7 miliardi a profitti per 12,4 miliardi. Anche se consideriamo il dato al netto di partite straordinarie, il risultato non cambia: si va da perdite per un totale di 1,4 miliardi a utili per un ammontare di 5,1 miliardi.

 

Insomma, il sistema bancario italiano tende a recidere i ponti col recente passato fatto di crisi e di scandali come prova il balzo in avanti degli indici di profittabilità e di efficienza. “Nel 2017 il posizionamento delle banche italiane nel contesto europeo è senz’altro migliorato – dice al Foglio Roberto Frazzitta, Financial Services Partner di Bain&C – Nella matrice che utilizziamo per capire come si muovono le prime 100 banche dell'area euro, le italiane hanno fatto passi in avanti verso il quadrante dei ‘winner’, cioè dei vincenti. La svolta c'è stata, ma restano le grandi sfide per i prossimi anni – prosegue l’esperto – vale a dire l’ulteriore riduzione dei crediti deteriorati, in particolare dei cosiddetti utp che rappresentano i prestiti incagliati, la trasformazione dei modelli operativi e di offerta per assecondare la sfida dell’innovazione digitale e l'avvio dei processi di consolidamento nel settore che avverranno sotto l’occhio vigile della Banca centrale europea”.

 

Secondo le previsioni di Bain, vedremo un gran movimento tra il 2019 e il 2020. Del resto, il consolidamento, cioè la spinta verso processi di fusione o aggregazione tra banche, è inevitabile quando il mercato appare troppo frammentato e la capacità di competere è messa in discussione dalle dimensioni. Non è un caso che i rumor della settimana abbiano svelato un presunto disegno del gruppo Unicredit di convolare a nozze con un player europeo (accantonata, pare, l’ipotesi Société generale, si fanno i nomi dell’inglese Lloyds e delle olandesi Abn Amro e Ing come possibili partner). Non solo. L’attenzione del mercato pare rivolta anche a un eventuale matrimonio tra Unipol Banca e Bper.

   

Che probabilità ci sono che accada tutto questo? “Guardando all’Italia partiamo da un dato – riflette Frazzitta – Attualmente i due maggiori gruppi del paese coprono circa il 50 per cento dell’intero mercato del credito in Italia, la restante parte è suddivisa tra banche di dimensioni medie, piccole e molto piccole. In questo contesto esiste lo spazio per un almeno un altro campione nazionale, se non per altri due”. Vorrebbe dire che Intesa e Unicredit potrebbero presto vedere nascere un competitor di dimensioni confrontabili? “La corsa a diventare grandi non è sempre giustificata. Si potrebbe dire che ‘Big is better but not enough’, essere grandi è meglio ma non basta. Bisogna valutare la qualità dell’aggregazione e verificare se un’operazione del genere porta a una creazione di valore. In questa fase appare più probabile che siano le banche di dimensioni più piccole ma con una chiara visione industriale a decidere di fare il grande passo di unire i loro sforzi”, dice Frazzitta. Resta da vedere se il caos in Borsa e il calo delle quotazioni inibirà aggregazioni oppure incoraggerà aggressioni dei concorrenti visti i prezzi calanti dei titoli bancari.

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