Il governo ha dichiarato di volere nazionalizzare la rete autostradale (Foto LaPresse)

Non avevamo ancora visto giocare a Tetris con le partecipate

Carlo Stagnaro

Il governo crede che lo Stato possa fare ogni cosa. Ma non è così

Roma. La metafora più abusata, per descrivere i processi di riorganizzazione aziendale, è quella del Risiko. Nel caso del governo Di Maio-Salvini, però, il gioco di riferimento è un altro: il Tetris. L’ennesima prova arriva da un’ipotesi resa nota da Giorgio Santilli sul Sole 24 ore ieri: “Affidare la gestione autostradale a Fincantieri (magari spostando Anas sotto il suo controllo)”. Poco conta che si tratti di un progetto concreto o di un mero pour parler (come probabilmente è). Ciò che rileva è che sia verosimile. E lo è non perché vi sia una qualche razionalità nascosta, ma perché l’esecutivo ci ha abituati a ogni genere di incastro tra aziende pubbliche e tra queste e le funzioni che dovrebbero svolgere. Solo per ricordare i casi più recenti: l’imposizione tutta politica di coinvolgere Fincantieri nella ricostruzione del Ponte Morandi a Genova, in barba alla disciplina degli affidamenti e nell’incertezza più assoluta sul destino della concessione di Autostrade; la decisione di scorporare Anas da Fs (con cui era stato da poco avviato un percorso di integrazione finalizzato a costituire un polo infrastrutturale integrato); la possibilità tuttavia che Fs guadagni (?) l’Alitalia.

 

Intanto, la Cassa depositi e prestiti non ha fatto in tempo a entrare in Tim (per opera del governo precedente) che è stata rapidamente tirata per la giacchetta in una molteplicità di ambiti e settori produttivi (incluse le autostrade e l’acciaio). La sua parente povera (Invitalia) pare pronta a realizzare la sua vocazione di tappabuchi nei tavoli di crisi industriale. Queste vicende hanno un comune denominatore: la duplice assunzione che ogni impresa pubblica possa svolgere qualunque attività, e che lo stato debba fare tutto. Che insomma l’economia sia solo un gioco d’incastri. E’, in fondo, la traduzione politica del motto “uno vale uno”. Peccato che ogni mansione – realizzare ponti, gestire una rete viaria, mantenere in esercizio la banda larga, far viaggiare treni e aerei, effettuare bonifiche ambientali, ecc. – richieda una specifica combinazione di fattori produttivi (capitale e lavoro), le cui caratteristiche variano non solo in ragione degli obiettivi, ma anche del periodo, del luogo e della tecnologia in uso.

 

La mancata comprensione dell’importanza della specializzazione del lavoro, soprattutto in un’economia moderna e complessa e della funzione della concorrenza nel perseguire l’allocazione dei fattori, si salda – nella mentalità gialloverde – alla presunzione che lo Stato possa tranquillamente sostituirsi al privato. Se e quando ciò avviene, sfortunatamente, viene meno la possibilità di selezionare i metodi produttivi migliori in una data circostanza, con un risultato devastante in termini di mancata innovazione (tecnologica in senso stretto, ma anche organizzativa e commerciale). Il confronto tra prodotti e produttori diversi consente di far emergere le preferenze dei consumatori. Inoltre, per conquistare quote di mercato o margini, i concorrenti sono incoraggiati a investire in innovazione, per migliorare i loro prodotti o ridurne i prezzi.

 

Anche i casi in cui la competizione nel mercato non è tecnicamente possibile – i cosiddetti monopoli naturali, come le reti infrastrutturali – la concorrenza per il mercato (cioè l’affidamento tramite gara) e la yardstick competition (la comparazione dei risultati e dei costi di operatori diversi in porzioni differenti di infrastruttura) possono mimare le dinamiche competitive, salvaguardandone i benefici e tutelando l’interesse pubblico. Al contrario, la politica economica del governo sembra muovere dalla convinzione ingenua ed empiricamente infondata che il monopolio abbia il vantaggio della semplicità, oltre tutto in un contesto dove competenze ed esperienza sono facili da acquisire. In fondo, se tutti sanno fare tutto, tanto vale che sia lo stato a fare ogni cosa. Purtroppo, un sillogismo che poggia su premesse scorrette, non può che condurre a una conclusione fallace. Tetris è uno splendido passatempo, non avremmo mai immaginato che potesse diventare uno strumento di governo.