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Le autostrade, storia di una doppia natura pubblico-privata

Luciano Capone

Lorenzo Saltari, coautore di “Il regime giuridico delle Autostrade”, spiega i rischi della nazionalizzazione

Roma. La storia delle Autostrade in Italia è scandita dal ritmo di un pendolo “dove le oscillazioni periodiche contrassegnano il prevalere della razionalità economica privatistica cui segue l’affermarsi della logica pubblicistico-dirigistica”, scrivono Lorenzo Saltari e Alessandro Tonetti nel recente volume “Il regime giuridico delle Autostrade” (Giuffré, 2017) che ripercorre la storia dell’infrastruttura italiana e la paragona alle altre esperienze europee. “In realtà – dice al Foglio Saltari, professore di Diritto pubblico all’Università di Palermo – la metafora del pendolo l’abbiamo presa in prestito da Massimo Severo Giannini che così descrive l’andamento tra stato e mercato”. E come si è mosso il pendolo? “Bisogna distinguere tra le autostrade di prima generazione e quelle di seconda. Quelle di prima rappresentano un’iniziativa imprenditoriale avveniristica, frutto dell’iniziativa dell’ingegnere milanese Pietro Puricelli che intuisce le potenzialità della motorizzazione civile e progetta una strada per i soli veicoli a motore per collegare i milanesi ai luoghi di villeggiatura”. Nasce così la Milano-Laghi. “Iniziativa appoggiata entusiasticamente da Mussolini per le forti assonanze futuristiche. Puricelli ci mette il capitale e ottiene dallo stato la concessione che gli consente di espropriare i terreni come organo pubblico indiretto, senza dover comprare a prezzo di mercato. Negli anni ’20 l’approccio è quindi prettamente privatistico, l’imprenditore costruisce l’infrastruttura che è ripagata con i pedaggi, che per la durata della concessione devono garantire l’ammortamento dell’investimento e la remunerazione del capitale”.

 

“Il segmento maggiore delle autostrade una gestione diretta statale non l’ha mai avuta, sarebbe una novità. Ma abbiamo un benchmark tra il modello concessorio e quello in gestione diretta che è la Salerno-Reggio Calabria gestita dall’Anas. E’ ragionevole trasporre il modello Anas a tutta la rete autostradale?”

Ma qualcosa non funziona. “Il Puricelli calcola male i volumi di traffico, anche a causa del Ventinove e delle sanzioni del ’35, e fallisce. Lo stato riscatta dietro indennizzo la concessione e riprende le infrastrutture affidandole alle Asss, l’Anas dell’anteguerra”.

Il pendolo si sposta così verso lo stato. “Però è in questo momento che emerge il bipolarismo tra Autostrade e Anas, tra l’Autostrada del Sole e la Salerno-Reggio Calabria”. In che senso? “Con l’esplosione della motorizzazione nel dopoguerra, lo stato diventa protagonista in due vesti – spiega Saltari – da un lato c’è lo stato-imprenditore con la società Autostrade dell’Iri, esempio del capitalismo italiano di avanguardia, che funziona secondo logiche imprenditoriali e manageriali molto strette. Basti pensare che nella costruzione dell’Autostrada del Sole lo stato stanzia solo il 36 per cento del costo totale dell’opera, per il resto l’organo dell’Iri ha la capacità di finanziarsi sul mercato”. E l’altro abito? “E’ quello dello stato-burocrazia che ha la gestione diretta di un altro pezzo, molto più esiguo del sistema. Quando è chiesto all’ingegner Cova (il presidente di Autostrade, ndr) di realizzare la Salerno-Reggio Calabria, questi oppone un netto rifiuto sapendo che quella tratta non sarebbe stata in equilibrio con i pedaggi e suggerisce al governo di imputarne la realizzazione all’Anas e alla fiscalità generale”.

 

Anche all’epoca tra il concedente Anas e il concessionario Autostrade, il ramo imprenditoriale era quello predominante e più intraprendente? “La dialettica era tra due sfere dello stato, da un lato l’Anas e il ministero dei Lavori pubblici, dall’altro l’Iri che per molti anni ha contribuito all’ascesa economica del paese con performance straordinarie fino a quando logiche assistenziali imposte dalla politica non ne implicarono il declino foriero della sua liquidazione nei primi anni Novanta. E’ in questa delicata fase, dove sullo sfondo c’è l’obiettivo di agganciare subito la zona euro, che si arriva alla privatizzazione delle Autostrade”. Era una scelta obbligata? “Quando è liquidata l’Iri, Autostrade poteva continuare a vivere come società in pubblico comando, alla stessa stregua dell’Eni o dell’Enel. La risposta invece dell’intero establishment politico-economico è stata per la privatizzazione che seguiva la liberalizzazione dell’attività disposta nel 1993. Qui non si ebbe l’attenzione a rafforzare la parte pubblica del rapporto concessorio che da quel momento fronteggia un’impresa che legittimamente aspira a conseguire utili”.

 

Senza l’Iri, l’eventuale gestione statale di cui si parla quindi non sarebbe un ritorno al passato? “Il segmento maggiore della rete autostradale una gestione diretta statale non l’ha mai avuta, sarebbe una novità. Inoltre abbiamo un benchmark tra il modello di gestione-manutenzione-costruzione concessorio e quello in gestione diretta che è la Salerno-Reggio Calabria, appunto gestita dall’Anas”. Quale tra i due ha funzionato meglio? “Adesso ci sono solo circa 900 chilometri dell’Anas il cui impiego è senza pedaggio; è ragionevole trasporre questo assetto minoritario del sistema autostradale a tutta la rete?”. Non è chiaro se è questa l’intenzione, esponenti del governo hanno ventilato una nazionalizzazione senza scendere nei dettagli. “Già parlare di nazionalizzazione è improprio perché l’infrastruttura è già dello stato. Se invece si vuole la gestione diretta bisogna chiedersi se deve limitarsi alla sola concessione di Aspi (Atlantia, ndr) o all’intero sistema. Al di là della tragedia di Genova, che richiederà tempo per l’accertamento delle responsabilità, qualora il decisore pubblico volesse adesso rimettere mano al comparto come si giustificherebbe il mantenimento delle altre concessioni ad altri privati, come Gavio e Toto, oppure a enti pubblici territoriali come per l’Autobrennero?”

 

Sarebbe discriminatorio? “Asimmetrie e disparità di trattamento si scontrano con i principi dell’ordinamento giuridico italiano ed europeo e ciò rende ancora più complicata l’eliminazione del meccanismo basato sull’affidamento in concessione per la gestione, manutenzione e potenziamento delle autostrade italiane. Il governo è nella strettoia di fornire risposte a un’opinione pubblica sotto shock facendo i conti con stringenti vincoli giuridici, ma anche di ordine finanziario”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali