Stabilimento siderurgico dell'Ilva a Taranto (foto LaPresse)

Scaricabarile d'acciaio

Redazione

Di Maio continua un’assurda campagna elettorale sull’Ilva col retrovisore

L’unica certezza sull’Ilva è che Luigi Di Maio vuole chiudere la vertenza entro il 15 settembre, data in cui terminerà la gestione commissariale dell’acciaieria di Taranto. Ma nella conferenza stampa tenuta ieri mattina per illustrare il parere non ancora pubblicato – perché secretato – dell’Avvocatura dello stato sulla procedura di gara vinta da ArcelorMittal, Di Maio non ha dato risposte su come intende garantire la continuità produttiva dello stabilimento. Il ministro dello Sviluppo economico ha confermato che l’Avvocatura avrebbe riscontrato delle “criticità” aggiungendo che per il governo la procedura che ha consegnato Ilva a ArcelorMittal è “illegittima”. Se fosse illegittima dovrebbe essere annullata, ma Di Maio non l’ha fatto pur lasciando aperta la possibilità. Per farlo, ha detto, “ci deve essere l’illegittimità dell’atto e ci deve essere la tutela dell’interesse pubblico concreto e attuale”. E ha poi detto che la gara potrebbe essere annullata se ci saranno altre offerte. L’illegittimità della procedura deriverebbe non da ArcelorMittal ma dallo Stato che non ha concesso ulteriori rilanci alla cordata concorrente AcciaiItalia, ormai sciolta. In un precedente parere, richiesto e pubblicato dall’ex ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, l’Avvocatura diceva che eventualmente la procedura non doveva essere rifatta con “rilanci” ma con “proposte contrattuali” differenti stante un “cospicuo allungamento dei tempi”. Di Maio tratta l’Ilva come in campagna elettorale, contestando l’esecutivo precedente sia nella gestione della gara sia nella trattativa tra azienda e sindacati. Calenda si era introdotto convocando un tavolo di confronto sugli esuberi, finito male perché alcune sigle rifiutarono le sue proposte aspettandosi qualcosa di meglio dal nascente governo gialloverde. Ora tutto è come prima, ma c’è più confusione. Di Maio non vuole prorogare ancora la gestione commissariale dell’Ilva e quindi esclude di continuare a tenere in vita lo stabilimento con un intervento pubblico: a fine settembre finiscono i soldi in cassa e servirebbe un finanziamento per decreto, come negli anni scorsi. Tuttavia, a meno che non arrivino nuove offerte, non ci sono alternative all’ingresso di ArcelorMittal. Ieri il principale gruppo siderurgico europeo ha ribadito di “voler acquistare l’Ilva e di agire da imprenditore responsabile nella speranza di ricevere supporto dal governo” per un’intesa coi sindacati. Nella migliore ipotesi, con l’assegnazione, Di Maio avrebbe perso tempo e soldi. Se, invece, per tutela dell’“interesse pubblico” il ministro intende che “è inammissibile costituzionalmente regalare i profitti dell’Ilva e condannare i tarantini a tumori e distruzione dell’ambiente”, come da twitt di ieri del vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, staremmo parlando dell’ipotesi peggiore: quella autodistruttiva, che porta alla chiusura per consunzione dell’acciaieria.

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