L'Ue può restare al riparo da un'escalation della guerra commerciale?
I mercati attendono le riunioni di tre banche centrali previste per questa settimana: Boj (Giappone), Fed (Stati Uniti) e Banca d’Inghilterra
Dopo la Bce che ha confermato tassi stabili nell’area euro fino all’estate 2019, i mercati attendono con ansia le riunioni di tre banche centrali previste per questa settimana: Boj (Giappone), Fed (Stati Uniti) e Banca d’Inghilterra. Tre appuntamenti con le politiche monetarie di altrettante aree strategiche in un contesto in cui i timori per una guerra commerciale mondiale si sono trasformati in previsioni di una guerra valutaria, che potrebbe essere altrettanto nefasta.
Si comincia tra oggi e domani con la banca centrale del Giappone, da cui arrivano segnali contrastanti. In teoria, la Boj potrebbe decidere di modificare la sua politica monetaria ultra espansiva anche se, alla vigilia della riunione, si sta facendo largo l’ipotesi che la decisione si alzare i tassi potrebbe essere rinviata in autunno. La stampa nazionale riferisce che la banca centrale è pronta a rivedere al ribasso le stime sull’andamento dell’inflazione per gli anni 2018 e 2019, il che vuol dire che ci sarà una prosecuzione delle politiche di alleggerimento quantitativo. Un aumento dei tassi di 0,25 punti base appare, invece, una decisione molto probabile per la banca centrale inglese che si riunirà giovedì con all’ordine del giorno una manovra di politica monetaria restrittiva. Il tasso ufficiale potrebbe essere portato a 0.75 per cento dall’attuale 0,5 per cento. E venerdì toccherà alla Federal Reserve, nelle ultime settimane messa sotto pressione dalle polemiche con il presidente Donald Trump, poi rientrate. In questo caso non dovrebbero esserci particolari novità poiché l’atteso rialzo del costo del dollaro (il terzo in un anno) sarebbe stato rinviato a settembre. Mentre avranno un peso rilevante i dati sul mercato del lavoro (saranno annunciati dal Fomc il 31 luglio) dai quali è atteso un lieve incremento della disoccupazione statunitense.
Da conflitto sui dazi a guerra valutaria. Il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina rischia di innescare una corsa alla svalutazione competitiva tra le due maggiori economie del globo, con gravi ricadute economiche e finanziarie su gran parte dell'economia globale. A sostenerlo è Jason Schenker, capo economista di Prestige Economics. Intervistato da "Bloomberg", Schenker afferma che la pubblicazione del dei prossimi dati sulle pmi del settore manifatturiero cinese darà una prima misura degli effetti delle tensioni commerciali tra i due paesi, che hanno già depresso alcuni settori come quello dei metalli. Commentando il calo del valore dello yuan sul dollaro, che prosegue ininterrottamente da sette settimane, Schenker spiega che ci sono segnali di ulteriori indebolimenti. Tale azione, sottolinea l'economista, è coincisa con l'adozione di tariffe americane per 34 miliardi di dollari a carico delle merci cinesi, e segnala le prime avvisaglie di quella che rischia di divenire, "volontariamente o involontariamente", una guerra valutaria (proprio in questi giorni Donald Trump ha accusato la Cina di utilizzare l’arma della svalutazione monetaria). Un rallentamento della crescita economica, sottolinea Schenker, spingerebbe la Banca popolare cinese a tagliare i tassi di riferimento, e ciò non farebbe che indebolire ulteriormente lo yuan, innescando un circolo destinato ad auto-alimentarsi.
Tregua tariffe sul fronte Ue, ma a quando un accordo operativo? In questo quadro, l’Unione europea sembra restare al riparo da un’escalation di guerra commerciale (anche se non è escluso che, se dovesse verificarsi una spirale monetaria, l’euro ne potrebbe essere contagiato). Ma l'accordo di massima raggiunto tra Stati Uniti ed Europa, nonostante abbia avuto un esito migliore delle attese, non allontana del tutto lo spettro di un aumento dei dazi sulle auto, come ha fatto notare la camera di commercio e industria tedesca. Inoltre, Steven Mnuchin, segretario americano al Tesoro, ha dichiarato di sperare che le trattative tra il presidente americano, Donald Trump, e quello della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, portino a un "accordo reale". Anche il numero uno della Bce, Mario Draghi, ha detto che “è ancora troppo presto per valutare l'esatto contenuto dell'accordo. Si può dire che è buon segno perché in un certo senso mostra che c'è una volontà di tornare a discutere di questioni commerciali in un quadro nuovamente multilaterale. Ma sarebbe difficile dire altro".
sindacati a palazzo chigi