Così Trump ha messo sotto sanzioni un'altra azienda strategica cinese
La nuova mossa riguarda i semiconduttori, ed è un segnale del fatto che la guerra commerciale è sempre più grave. Nuovi dazi?
Roma. Il dipartimento del Commercio degli Stati Uniti lunedì sera ha vietato alle aziende americane di fare business con un’azienda tecnologica cinese che il governo di Pechino considera strategica e che è stata finanziata con miliardi di dollari di fondi pubblici. L’azienda si chiama Fujian Jinhua Integrated Circuit Co., è stata fondata nel 2016 e produce microchip, un prodotto strategico che il Partito comunista cinese ha indicato come fondamentale per lo sviluppo del paese in una potenza tecnologica paragonabile a quella americana. Fujian Jinhua non aveva ancora cominciato la produzione in massa di semiconduttori: era prevista entro la fine di quest’anno, ma probabilmente sarà bloccata. L’azienda dipende in maniera fondamentale dalle tecnologie e dalle componenti vendute da alcune aziende californiane, che adesso non saranno più disponibili. Fujian Jinhua era stata scelta nell’ultimo piano quinquennale come una di quelle su cui investire per ridurre entro il 2020 la dipendenza dall’esterno di semiconduttori.
C’è un precedente: questa primavera, l’Amministrazione Trump mise in atto un divieto simile nei confronti di Zte, la seconda azienda di telecomunicazioni cinese, accusata di aver infranto un accordo che le impediva di commerciare con paesi canaglia come l’Iran e la Corea del nord. Priva dei suoi fornitori americani, Zte, una multinazionale da 80 mila dipendenti, fu costretta a interrompere del tutto la produzione, e avrebbe chiuso se solo Trump non avesse siglato un accordo con il suo omologo Xi Jinping per salvarla. A giudicare dal precedente, l’attività strategica di Fujian Jinhua è a rischio.
Anche Fujian Jinhua ha commesso un’infrazione agli occhi di Washington: lo scorso dicembre, l’azienda americana Micron l’ha denunciata sia in America sia in Cina per furto di proprietà intellettuale, attraverso uno schema complesso di partnership e truffe che passava anche per Taiwan. C’è un giudizio in corso, ma non è per questa ragione che Fujian Jinhua è stata penalizzata. Mentre il dipartimento del Commercio aveva deciso di punire Zte per un’azione specifica, nel caso di Fujian Jinhua la ragione è generale: sicurezza economica e nazionale (il comunicato del dipartimento parla di “messa in pericolo della sostenibilità della catena di rifornimenti per componenti essenziali nei nostri sistemi militari”). Significa: vogliamo evitare l’ascesa di questa azienda perché potrebbe mettere in pericolo la supremazia e la sicurezza americana in un campo altamente strategico. E’ una decisione senza precedenti ed è una conferma del fatto che, come sostengono i rappresentanti del Partito comunista e i giornali di stato, la guerra commerciale di Trump non è semplicemente un modo per ripianare alcune storture nella bilancia degli scambi, ma è un’arma usata per contenere l’ascesa di una superpotenza rivale e forse ostile.
Questa settimana Bloomberg ha rivelato che l’Amministrazione è pronta ad applicare un nuovo round di dazi contro la Cina entro l’inizio di dicembre, se al G7 di novembre Xi Jinping non dovesse presentare a Trump un “great deal”. Nel linguaggio di Trump, convinto che ormai la Cina sia in ginocchio, “great deal” significa: resa incondizionata, e un accordo sarà molto difficile. Le nuove sanzioni potrebbero ammontare a 257 miliardi di dollari di prodotti, praticamente la totalità delle esportazioni cinesi in America. Ma l’economia cinese è tutt’altro che in ginocchio, almeno per ora, e casi come quello di Zte (e adesso di Fujian Jinhua) hanno rafforzato la propaganda antiamericana del regime. Il fenomeno che gli analisti definiscono “decoupling”, cioè lo sfilacciamento dei rapporti tra le due maggiori economie del mondo, è in stato sempre più avanzato.
L'editoriale dell'elefantino