Luigi Di Maio e Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Il cambiamento (in peggio)

Redazione

Più spread, capitali in uscita, negozi chiusi e meno lavoro. Il prezzo del governo

C’è già un costo – nello spread, nell’aumento di 55 miliardi di capitali finanziari in uscita dall’Italia, nel raddoppio degli interessi sui titoli di stato – che tutti stiamo pagando al governo pentaleghista. Ma c’è anche un altro costo che si paga al ministro del Lavoro Luigi Di Maio, come minori posti di lavoro, e al ministro dello Sviluppo economico, sempre Luigi Di Maio, come minore sviluppo economico. Il “capo politico” e vicepremier dei Cinque Stelle di leggi ne ha fatte solo una, il “decreto dignità”, e altre ne ha annunciate, dall’obbligo di chiusura di negozi e supermarket nei giorni festivi, e-commerce incluso, al “tavolo” sui riders dove il vero bersaglio sono le piattaforme elettroniche, ai tagli alle cosiddette pensioni d’oro, alle minacce alla riapertura dell’Ilva, alla Tav e ad altre infrastrutture. La propaganda è molta ma qualche calcolo è già possibile. Nel decreto dignità in attesa solo di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale la relazione tecnica (vidimata dalla Ragioneria dello stato) mette nero su bianco i contratti a termine che andranno persi: 83.300 da qui al 2028, dei quali 3.300 quest’anno solo perché siamo a metà luglio. Si tratta del 4 per cento di circa 2 milioni di contratti finora attivati annualmente, che superando i 24 mesi cadranno sotto la mannaia della legge. La relazione elenca anche le minori entrate contributive e fiscali per lo stato e i maggiori esborsi per il Naspi, il sussidio di disoccupazione: 517,7 di minori introiti nel decennio ai quali si sommano 322,3 di maggiori oneri di Naspi. Costo secco per il bilancio pubblico 840 milioni, oltre al prezzo sociale dei posti di lavoro persi. Si capisce perché Di Maio abbia fastidiosamente definito “pastoie burocratiche” l’esame della Ragioneria.

 

Certo, il doppio ministro afferma che grazie alla sua bacchetta magica la precarietà diverrà stabilità: ma intanto il risultato è questo. E perché poi le aziende in èra Di Maio dovrebbero assumere? La chiusura festiva dei negozi, che mira a ridurre del 75 per cento gli esercizi aperti nelle festività – dato contenuto nella proposta di legge presentata il 12 luglio – mette a rischio secondo la Confcommercio 400 mila occupati e il 10 per cento del fatturato, cioè 20 miliardi. Gli imprenditori esagerano? Tagliamo della metà e siamo a 200 mila posti di lavoro e 10 miliardi. Sommiamoli agli effetti del decreto dignità e sfioriamo i 300 mila occupati in meno e 11 miliardi di ricchezza prodotta persa. Di Maio poi, che se ne intende, definisce una fake news il proposito di vietare anche gli acquisti online: ebbene, la fake è sua, in quanto il progetto consente sì di fare ordini via internet purché siano presi in carico nei giorni feriali successivo. Come i bonifici bancari. In questo caso le ricadute sulle aziende di e-commerce, e sul Made in Italy che si serve delle loro piattaforme, non sono ancora state stimate. Si può però ricordare che la sola Amazon ha investito in Italia 1,6 miliardi, fatto 3.600 assunzioni e annunciate altre 1.700.

 

Ieri la Banca d’Italia, oltre a confermare il deflusso di capitali dall’Italia, salito a 481 miliardi a giugno, ha specificato che le attività finanziarie nette all’estero degli italiani sono aumentate di 22,2 miliardi: non solo i mercati ma i nostri investitori puntano oltre frontiera. Ancora Bankitalia taglia le stime del pil all’1,3 quest’anno e all’uno il prossimo. La frenata della crescita è tutta nel secondo trimestre, così come i consumi che si dimezzano allo 0,2 per cento. “Le incertezze politiche iniziano a ripercuotersi su famiglie e imprese” dice Via Nazionale. Le cose vanno peggio, c’è stato un cambiamento, è quello del governo.

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