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Perché l'attendismo di Marchionne genera strepiti in Italia

Alberto Brambilla

Nel momento definitivo per Fiat-Chrysler la scarsa visibilità sul piano industriale di giugno lascia politica e sindacati in ansia

Roma. A Sergio Marchionne fischieranno le orecchie fino al primo giugno prossimo quando verrà presentato il piano industriale di Fiat-Chrysler dal quale la politica nazionale e locale – nelle regioni di Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzo, Campania, Basilicata – e i sindacati attendono informazioni sulla produzione futura, in termini di modelli e di ricerca e sviluppo, nei nove impianti del gruppo che conta 27 mila lavoratori nel complesso. Non è raro avvistare l’amministratore delegato del gruppo americano, controllato dalla Exor della famiglia Elkann-Agnelli, a Torino dal momento che ha una casa nella città natale di Fiat. Tuttavia riuscire ad avere un incontro con lui pare un’impresa per chiunque abbia sincero interesse nel capire le intenzioni del primo gruppo manifatturiero in Italia. Il momento è definitivo per la casa di Detroit dal momento che Marchionne lascerà ufficialmente il posto di comando nel 2019 dopo avere cavalcato Fiat dal 2004 salvandola dal fallimento con la fusione transatlantica. Secondo indiscrezioni, potrebbe anzi lasciare di fatto la guida operativa dal 2 giugno, all’indomani della presentazione del piano per il 2018-2022, al suo successore non ancora designato.

 

A proposito sembrano in calo le quotazioni del direttore finanziario per l’area Europa e medioriente Alfredo Altavilla, un decano, mentre salgono quelle di Richard Palmer, direttore finanziario del gruppo. Dopo le elezioni la situazione politica è oltremodo incerta. Marchionne non è preoccupato dell’avvento dei partiti sovranisti. Ma intanto non si concede ai portatori di interesse.

 

Il ministro delle Sviluppo economico, Carlo Calenda, non ha ancora avuto il piacere di incontrarlo. Il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, l’8 marzo scorso ha riunito i sindacati per raccogliere opinioni sulle principali criticità per gli impianti di Mirafiori, di Grugliasco e del Centro ricerche Fiat e comunicale ai vertici aziendali con una lettera (previa cortese telefonata al direttor Altavilla). “A due mesi dal piano non ci sono segnali – dice al Foglio Chiamparino smentendo indiscrezioni di un incontro avvenuto ieri – e sarebbe interessante avere la possibilità di istituire una sede regionale o nazionale dove rappresentare le preoccupazioni del territorio”.

 

Una delle principali intenzioni è capire se il baricentro si sposterà da Torino a Modena dove ha sede la Maserati e dove sono state progettate le Alfa Giulia e Stelvio nel timore che si installi lì, insieme ai marchi premium, anche la ricerca ingegneristica sui nuovi propulsori. La preoccupazione del sindacato dei metalmeccanici Fim-Cisl, guidato da Marco Bentivogli, che ha sposato e vinto la battaglia marchionnesca del decentramento contrattuale che ha liberato Fiat da Confindustria, è capire se e come verranno saturati gli impianti italiani. Da a tempo circolano indiscrezioni su un nuovo modello di Jeep, formato mini-suv, che dovrebbe entrare in produzione nello stabilimento campano di Pomigliano d’Arco da 4.729 addetti dove si produce la Panda che è in via di esaurimento (dal 2020 un nuovo modello di Panda verrà realizzato in Polonia). Pomigliano non è saturo, idem Melfi (Basilicata) – che ha prodotto 364.700 tra Fiat Punto, Fiat 500X, Jeep Renegade – e Mirafiori (Piemonte), che nel 2016 ha prodotto 42.275 auto tra Alfa Romeo Mito e Maserati Levante. Il baricentro di Fca a livello mondiale è spostato verso l’America: genera il 59 per cento circa del fatturato dall’area Nafta (Messico, Stati Uniti e Canada) e la riforma fiscale dell’Amministrazione Trump incentiva gli investimenti negli Stati Uniti. In Europa le vendite del gruppo Fca a febbraio sono in contenenza rispetto alla concorrenza: le immatricolazioni sono calate ell’8,8 per cento sull’anno precedente, mentre quelle dei principali concorrenti sono aumentate. Sui propulsori ibridi ed elettrici è in ritardo. Gli altri player, da Toyota a Volvo a Volkswagen, intendono rivoluzionare la metà delle loro flotte in un trienni. Ovviamente Fca non vuole svelare in anticipo le sue intenzioni. Ma mentre Marchionne aspetta l’ansia sale.

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