Il New York Stock Exchange di Wall Street. Foto LaPresse

I mercati sono più razionali degli uomini quando le "cassandre" pensano all'apocalisse

Alberto Brambilla

Dopo il tonfo di Wall Street della scorsa settimana i listini mondiali viaggiano poco sopra la parità. Gli investitori hanno fatto l’abitudine a navigare le turbolenze

Roma. Wall Street ha chiuso la quinta seduta in recupero dopo il tonfo della settima scorsa, seguito da escursioni selvagge, con un ritorno della volatilità a lungo repressa. L’inflazione americana avrebbe dovuto scatenare altre vendite a partire da martedì. Ma gli investitori sembrano disinteressati a profezie di sventura e a notizie ritenute esiziali da commentatori e analisti. L’inflazione in crescita, superiore alle attese degli analisti, avrebbe dovuto indicare un rialzo dei tassi più rapido del previsto da parte della Federal reserve e segnare la conclusione di un lungo ciclo di stimoli. L’inflazione di fondo in America è salita dello 0,3 per cento arrivando all’1,8 (contro l’1,7 atteso). Quindi molto vicina al target del 2 per cento che per la Fed rappresenta un limite per una stretta più ripida. Era questo l’evento catalizzatore di un nuovo ribasso borsistico. Invece l’evento catalizzatore è stato bypassato. Ieri i listini mondiali viaggiavano poco sopra la parità.

  

C’è sempre una ragione per comprare dopo un ribasso che riporta sulla terra dei prezzi lunari. L’America l’ha trovato nelle compagnie tecnologiche, titoli industriali e bancari, che fanno meglio in momenti di ripresa economica. Londra ieri ha retto (+0,2 per cento) e ha trovato forza nei titoli legati alle materie prime, che hanno nella City la piazza d’elezione. Le altre Borse europee hanno tenuto (Francia +1,1 per cento, Germania +0,06, Italia +0,28). E’ presto per dire se il collasso della settimana scorsa può essere consegnato agli annali come un evento storico. Come notava ieri John Authers del Financial Times, se una correzione si trasformerà in un cambio di regime dipenderà dalle decisioni del capo della Fed, Jerome Powell. Nel suo primo discorso, martedì, alla cerimonia di giuramento, ha insistito sulla volontà di garantire la “stabilità finanziaria”. Tuttavia, per ora, le profezie degli apocalittici sembrano puntualmente deluse. Gli investitori hanno “comprato sui tonfi” per anni e le mosse registrate negli ultimi giorni paiono l’abitudine. L’ultimo calo significativo sui mercati si era registrato nel giugno 2016 dopo che il Regno Unito votò per lasciare l’Unione Europea. In quell’occasione l’indice principale americano, S&P500, crollò del 5 per cento in due giorni per poi recuperare rapidamente. Il distacco di Londra da Bruxelles aveva gettato nel panico anche il listino inglese, ma, a oggi, è anche più in alto dei livelli pre-crisi e soprattutto post-Brexit. Stando ai catastrofisti, l’elezione di un imprenditore pluri-fallito come Donald Trump avrebbe dovuto comportare un collasso borsistico da panico. Invece ha permesso di proseguire il periodo rialzista più lungo della storia.

  

Dalla Brexit a Trump fino all’ultimo crash di Wall Street, gli investitori sembrano insomma reagire in modo più razionale dei media, o dei social network, intesi come entità collettiva, quando giungono notizie dirompenti. Di questo ha discusso Matt Levine, editorialista di Bloomberg, con l’economista Tyler Cowen. “Più le notizie sono rumorose meno i mercati reagiscono come ci si aspetterebbe guardando la tv?”, chiede il docente di Economia della George Mason University. “Poiché le persone costruiscono strumenti di investimento più razionali, ti aspetteresti che investire diventi più razionale. Una buona contro-argomentazione – dice Levine – è che investire non è un problema tecnologico che può essere risolto. E’ una lotta interpersonale: il trading, in particolare, è un tentativo di essere migliore di qualcun altro. Non puoi mai rendere il trading più razionale perché quando migliorerai qualcun altro migliorerà. Alla fine sarà ancora il tuo pregiudizio umano a fare la differenza”. Però, aggiunge Levine, l’investitore si adatta. “Sono prevenuto sul fatto che siamo diventati più intelligenti nel discernere le nostre reazioni emotive dalle notizie sui prezzi delle attività finanziarie. In parte deriva dal fatto che c’è una reazione ‘locale’ per cui il primo giorno della elezione di Trump tutti sono stati presi dal panico. Poi ha detto un’altra cosa pazza, e poi un’altra ancora. Alla fine ci si sintonizza. Ed è in questa forma che l’attività finanziaria reagisce alle notizie in modo più razionale rispetto alle reazioni umane”. Gli investitori hanno fatto l’abitudine a navigare le turbolenze, eliminando il rumore del caos che sovente i media alimentano.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.