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La responsabilità al posto del Quantitative easing

Redazione

Senza il “bazooka” di Mario Draghi la solvibilità dell’Italia compete alla politica

Dello spread ci eravamo dimenticati, abituati all’ombrello del Quantitative easing (Qe) della Banca centrale europea. Ma con l’inizio del 2018 le cose stanno rapidamente cambiando e non solo perché gli acquisti promossi da Mario Draghi si riducono a 30 miliardi al mese e cesseranno a settembre, salvo una coda per il reinvestimento delle cedole in scadenza. Il differenziale dei Btp italiani sale rapidamente dopo la formalizzazione della data delle elezioni, fatto scontato ma che non tranquillizza i mercati viste alcune forze in campo e i relativi programmi. Lo spread è volato in poche ore a 163 punti e il rendimento al 2,1 per cento, mezzo punto in più di un mese fa. Ci si consola perché quest’anno si emetteranno 390 miliardi di Btp e Bot rispetto ai 427 del 2017; e a un costo medio che viene dallo 0,7 per cento dell’anno scorso contro il 4 del 2007-2008. Ma allora vi si sommava un’inflazione del 2-3 per cento, oggi della metà. Quando i prezzi risaliranno i mercati pretenderanno molto di più per finanziare l’Italia, come accadde tra il 2005 e il 2007, benché allora si fosse in èra pre-crisi e con un debito pubblico minore del 30 per cento.

 

Tra poco torneremo a navigare in mare aperto, e la fiducia di chi compra dovremo guadagnarcela: è responsabilità nostra, al di là delle disquisizioni su trattati europei e Fiscal compact. Avere titoli periferici con tassi sopra la media può essere un vantaggio. Ma si trasformerà in rischio fatale se gli investitori non si fideranno del nuovo governo. Robert Ward, direttore della Intelligence unit dell’Economist, stima la crescita italiana 2018 ancora in coda all’Europa, dietro al Regno Unito post Brexit. Grant Thornton, agenzia mondiale di consulenza, enfatizza invece l’ottimismo delle imprese italiane (ed estere) e il loro proposito di investire in tecnologia e manodopera. Ciò che il privato fa rischia così di essere disfatto da certi partiti: l’ambiguità sull’euro del M5s, l’abolizione della riforma delle pensioni di Matteo Salvini (costo, 140 miliardi) faranno scappare chi è disposto a puntare sull’Italia. Né paiono imitati gli esempi di Portogallo e Grecia, della quale perfino la stampa tedesca saluta l’uscita dalla crisi dopo i sacrifici duri (li vogliamo paragonare ai nostri cinque mesi in più per la pensione?) ma necessari imposti dall’Europa. Se aumenteremo il debito lo pagheranno come sempre i giovani. Ma da subito saremo l’unico paese europeo nei guai, senza poter più dare la colpa a Bruxelles e Angela Merkel.

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