Carlo Calenda (foto LaPresse)

Calenda ci spiega la “solitudine” dei riformisti e perché non si candiderà

Luciano Capone

Il ministro al Foglio parla anche di Ilva, partiti in “fuga dalla realtà” e del rischio “spappolamento”

Nella giornata delle non candidature quella meno rumorosa, perché annunciata, ma più rilevante per le motivazioni è quella di Carlo Calenda. “Potevo fare l’ennesimo partitino, ma non migliorerebbe di un millimetro la situazione, è l’ultima cosa di cui l’Italia ha bisogno in questo momento”. Perché non in un partito esistente? “C’è un grande partito riformista in cui potrei stare e discutere di temi reali? Me lo sono chiesto. Pensavo potesse essere il Pd, ma non lo è e mi pare che neppure lo voglia essere. Non ho la spinta per mettermi in gioco, che ti dà la passione necessaria per fare politica”. Ospite del Foglio in un incontro sulla “globalizzazione a un anno da Trump”, il ministro dello Sviluppo economico lascia trasparire anche una certa delusione umana oltre che politica rispetto a questioni difficili come il caso Ilva, che il governo ha affrontato senza il supporto del Pd e delle altre forze non populiste. “In solitudine”, dice Calenda al Foglio. “Ho avuto un grande senso di solitudine in questa vicenda. Perché l’Ilva è un caso emblematico, possiamo portare tanti soldi per l’ambientalizzazione e per l’industria. Non ci sono mai soluzioni perfette, la realtà è sempre controversa, ma è su questo che si misurano le forze politiche. Il regno dell’illusione è il campo del populismo e ne abbiamo già tanto”. Se la parola “solitudine” indica un po’ la sua condizione rispetto alla vicenda tarantina, la formula che usa per descrivere la condizione delle forze politiche riformiste e moderate, quelle che dovrebbero contrastare i populismi, è “fuga dalla realtà”. “C’è una fuga dalla realtà, mi dispiace per il paese che non si parli dei problemi concreti – dice Calenda – la discussione ormai è tra ‘meno tasse per tutti’ e ‘ancora meno tasse di quello che dice meno tasse per tutti’, e poi il cane agli anziani. E’ come se tutti fuggissero dalla realtà, che impone scelte controverse. Ma questa fuga non li premierà”.

 

E proprio l’Ilva, che rappresenta una certa Italia del no egemonizzata dalla protesta e dalle recriminazioni, viene usata come simbolo del ritorno alla realtà. “Ilva ha dato lavoro e inquinato, io rispetto un tarantino che dice che vuole l’Ilva chiusa, perché è scoraggiato – dice Calenda – ma non rispetto chi non ha il coraggio di dire che vuole l’Ilva chiusa ma fa di tutto per farla chiudere”, il riferimento abbastanza evidente è al presidente pugliese Michele Emiliano che ha presentato un ricorso contro il nuovo piano ambientale. “Il governo ha trovato una soluzione, che va spiegata e rispiegata ai tarantini. Sono andato a Taranto in segno di rispetto, perché non volevo dare l’impressione della supponenza. A spiegare quello che si può fare, ma non quello che non si può fare, perché l’irrealtà non dovrebbe fare parte del regno della discussione politica”. Questo, secondo il ministro dovrebbe essere il ruolo dei riformisti: “Il paese risponde se gli si parla con il linguaggio del realismo ma il Pd questo linguaggio sembra averlo perso ed è un peccato, per il Pd e per il paese. Sta perdendo un’occasione”.

 

Il linguaggio del realismo, in un mondo dove si alzano le rivendicazioni protezioniste, si traduce secondo Calenda con la formula del “liberalismo pragmatico”, “che non vuol dire essere protezionisti, come ha scritto il Foglio – qui il ministro si toglie un sassolino che era nella sua scarpa da 10 mesi – ma vuol dire difendere l’interesse nazionale. Non ho mai difeso l’italianità di un’azienda, nel 99 per cento dei casi l’investimento estero è un bene, ma ci sono casi in cui gli investimenti sono predatori e devono essere fermati”. E questo rischio si fa più evidente in caso di instabilità politica. “Dobbiamo avere la consapevolezza che il prossimo giro elettorale, se arriviamo in una fase di spappolamento, rischiamo che ci mangino a pezzi. Ed è per questo che ho rafforzato il Golden Power. Ma non sono ovviamente un protezionista, difendo l’interesse nazionale”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali