Tocca a Padoan fermare l'inseguimento ai populismi sulle pensioni

Giuliano Cazzola

Perché, per stavolta, eviteremo di “gettare soldi dall’elicottero” nelle tasche dei pensionati

Al direttore - Dopo il responso dell’Istat sull’incremento dell’attesa di vita – che determina, in via amministrativa, un anticipo degli adeguamenti dell’età pensionabile a 67 anni e dei requisiti contributivi, già dal 2019 – la Consulta ha giudicato legittimo il decreto n.65/2015 con il quale il governo Renzi aveva provveduto a correggere la rivalutazione automatica delle pensioni in base alla sentenza n.30/2015. Nella manovra “Salva Italia” di fine 2011 venne bloccata (comma 25) la perequazione per le pensioni d’importo superiore a 3 volte il minimo per gli anni 2012 e 2013 (1.405,05 euro lordi mensili nel 2012 e 1.443 nel 2013). La Corte costituzionale (con la sentenza n.30 del 2015, di contenuto parecchio discutibile) non aveva cassato nella sua interezza la norma (se lo avesse fatto avrebbe contraddetto tutta la giurisprudenza in materia), ma i criteri e le modalità di esecuzione. Nel dispositivo, infatti, la Corte aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge n. 201/2011… nella parte in cui prevede che ‘In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici... è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 100 per cento’”. In sostanza, benché legittima, la misura, secondo la Consulta, agiva – in modo permanente – su prestazioni medio-basse, tanto da mettere in discussione la loro adeguatezza (nonché i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza).

 

In tale situazione, il governo reagì con un provvedimento d’urgenza e rimodulò il taglio della rivalutazione automatica: col decreto n. 65, infatti, furono inclusi nell’esonero altri 2 milioni di pensionati, così, in tutto, i “salvati” salirono a 12 milioni su 16 milioni di soggetti interessati e il livello di salvaguardia (sia pure con copertura parziale) fu portato da tre a sei volte il minimo, con un onere di 2,8 miliardi. A questo punto, avendo posto la questione della adeguatezza e della ragionevolezza, la Corte non poteva trasformarsi in un biscazziere che rilancia sulla posta andando nuovamente oltre il suo ruolo istituzionale e pronunciandosi su di una problematica squisitamente politica come quella del contenuto dei diritti sociali, il cui riconoscimento ai cittadini e ai lavoratori, non può prescindere, infatti, dalle condizioni economiche di un paese e da quanto esse possono garantire in una determinata fase storica. E pur ridimensionando l’ammontare (30miliardi) del fabbisogno di una copertura completa, una riapertura del caso-rivalutazione avrebbe quanto meno comportato l’impossibilità di sterilizzare, nella legge di bilancio, l’aumento dell’Iva.

 

Almeno per stavolta, eviteremo di “gettare soldi dall’elicottero” nelle tasche dei pensionati (nel 2017 sono stati stanziati ben 7 miliardi in un triennio) per rivalutare pure le pensioni medio-alte. Corre, invece, dei rischi seri l’aggancio automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita che è lo stabilizzatore del sistema pensionistico. Alcuni esponenti del Pd – compreso Matteo Renzi dal “treno dei desideri” – si sono pronunciati per il “blocco”, mettendo ancora una volta in difficoltà il “governo amico” di Paolo Gentiloni e a rischio l’equilibrio dei conti pubblici, pur di seguire la scia dei vari populismi circolanti. Addirittura, i dem entrano in contraddizione con se stessi, visto che l’Ape, nelle sue diverse tipologie, era stato istituito per fornire un’uscita di sicurezza a quanti hanno necessità reali di anticipo della quiescenza.

 

In Parlamento tutte le forze politiche sono pronte a gareggiare in demagogia. Tocca al ministro Pier Carlo Padoan compiere un gesto degno del suo predecessore Guido Carli: minacciare le dimissioni – e darle davvero – se venisse scardinato un punto cruciale del sistema previdenziale.

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