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Numeri alla mano la ripresa italiana si sta rafforzando

Marco Fortis

Export, manifatturiero avanzato, fiducia delle imprese e occupazione migliorano. Ma il sud resta il maggiore problema

Roma. Nel periodo post 4 dicembre sembrano essersi incupiti i consumatori ma non le imprese italiane. Anzi, in base agli indici di fiducia dell’Istat, queste ultime vedono sempre più rosa mentre le famiglie sembrano aver accusato il colpo di fronte allo scenario di incertezza politica scaturito dal no al referendum. E’ significativo il fatto che nei primi quattro mesi del 2017 i consumatori abbiano mostrato maggiori preoccupazioni per il clima economico generale e il clima futuro che per la propria situazione personale e il clima corrente, che sono invece rimasti più stabili. Si tratta probabilmente di una particolare condizione psicologica provocata dal cosiddetto “pantano” politico-istituzionale in cui siamo finiti: in questo momento, cioè, i cittadini non appaiono tanto preoccupati per se stessi quanto per il paese e per le pesanti incognite che lo attendono. Le imprese, al contrario, stante anche la continuità della politica economica tra il governo Renzi e il governo Gentiloni, si stanno godendo tutti i margini fiscali ottenuti in termini di riduzione delle tasse e di supporto agli investimenti. E in questo quadro stanno spingendo a fondo sulla produzione, confortate anche dalla ripresa dell’export verso i paesi emergenti.

 

Nel giro di una settimana l’Istat ha sfornato una serie di indicatori che effettivamente inducono a ritenere che la ripresa economica italiana si stia non soltanto consolidando ma anche rafforzando. A dispetto delle oscillazioni mensili degli indici e dell’effetto “disturbo” causato dai vari ponti festivi sulle procedure di correzione e destagionalizzazione dei dati, gli indici grezzi cumulati parlano chiaro. Nel primo bimestre del 2017 il fatturato manifatturiero in volume è cresciuto del 2,4 per cento rispetto al primo bimestre 2016 (quando era aumentato solo dell’1,6 rispetto al primo bimestre 2015, il quale, tra l’altro, era stato piuttosto fiacco). Ancor più scalpitanti appaiono gli ordini dell’industria rilevati dall’Istat, aumentati dell’8,2 nel gennaio-febbraio di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2016, con una buona crescita sia degli ordini interni (più 4 per cento) sia di quelli esteri (più 13,9). In particolare, secondo l’associazione Ucimu (l’associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot, automazione) sull’onda del Piano Industria 4.0 nel primo trimestre dell’anno sono esplosi del 22,2 per cento gli ordini di macchine utensili sul mercato interno.

 

Nei primi due mesi del 2017, inoltre, l’export italiano nel suo complesso è aumentato in valore del 7,2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Mentre nei primi tre mesi le esportazioni italiane verso i paesi extra-Ue, di cui ieri l’Istat ha fornito le prime anticipazioni, hanno ingranato la quarta, con un aumento del 12,4 per cento sul primo trimestre 2016. In particolare le nostre vendite hanno preso il largo nei paesi Bric: Cina +33,1 per cento, Russia +26,8, Mercosur +18,5, India +10,2. Bene anche l’export verso Stati Uniti +14,6, Giappone +15,2, Oceania +14,3 e altri paesi asiatici +18,9. L’indice composito di fiducia delle imprese italiane sta crescendo ininterrottamente da quattro mesi: ad aprile 2017 è aumentato del 6,5 per cento rispetto al dicembre 2016 in base ai dati destagionalizzati e ha toccato un livello che non veniva superato dall’ottobre 2007. La fiducia delle imprese manifatturiere nello stesso periodo è cresciuta del 3,9 per cento, mentre è aumentata del 6,3 nelle costruzioni, del 4,9 nei servizi e del 3,2 nel commercio al dettaglio.

 

Questa evoluzione aiuta anche l’occupazione. In base ai dati Inps la variazione netta cumulata dei posti di lavoro in essere nel biennio 2015-2016 e nei primi due mesi del 2017 è stata di ben 1 milione e 145 mila in più.

 

Da ultimo citiamo anche i tassi di disoccupazione delle regioni europee diffusi ieri dall’Eurostat. Ovviamente ci preoccupa molto ma non ci sorprende affatto leggere che la Calabria sia stata nel 2016 tra le regioni peggiori d’Europa per disoccupazione totale e giovanile. Il mezzogiorno è effettivamente il nostro maggiore problema dal punto di vista economico e falsa tutte le medie. Riteniamo invece più significativo sottolineare alcuni importanti miglioramenti avvenuti nel resto d’Italia. E cioè che lo sorso anno il tasso di disoccupazione totale del nord-ovest è sceso dall’8,7 all’8,2 per cento (livello comparativamente più basso di qualunque macro-area della Francia, a eccezione del centro-est, cioè il Rodano-Alpi-Alvernia, che ha il 7,9 per cento mentre l’Ile-de-France ha il 9,2). A sua volta il tasso di disoccupazione del nord-est Italia è diminuito dal 7,3 al 6,8 per cento (livello inferiore a quello medio della Svezia, pari al 7). Infine, il tasso di disoccupazione del centro è sceso dal 10,7 al 10,5 per cento (livello più basso di qualunque macro-area o regione della Spagna che ha mediamente il 19,6; la Catalogna è al 15,7, mentre la Navarra che è la regione spagnola migliore è al 12,5).