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Come una banca in salute può essere distrutta da media e pm. Il caso Delta

Alberto Brambilla

Cortocircuiti tra vigilanza bancaria e magistratura. Un libro

Roma. Il caso del gruppo bancario Delta racconta la storia di un omicidio di un’azienda a opera di diverse mani che non avevano uno scopo precostituito e comune ma che, intrecciandosi, sono riuscite a determinare l’uscita dal mercato del credito al consumo di una banca in crescita, il gruppo bolognese Delta, distruggendo risorse sia economiche sia umane. Il libro-inchiesta “Omicidio di impresa” (Rubbettino, 2016) ricostruisce le vicende che riguardano il gruppo bancario, dalla nascita alla fine, grazie alla precisione dell’autore Claudio Patalano, economista, già ispettore di Banca d’Italia, e per un certo periodo consulente di Delta. Generose note, certosina cronologia, interviste e questionari (curati da Chiara Scattone) – reperibili sul sito www.omicididimpresa.it – rendono esemplare la ricostruzione di un affaire finanziario-giudiziario meritevole d’attenzione per le perplessità che suscita sul sistema giudiziario italiano relativamente ai casi di indagini bancarie. Delta nasce nel 2002, la prima startup del credito al consumo in Italia, per iniziativa di alcuni manager ex di Finemiro (poi gruppo Intesa), s’espande con dinamismo, e nel 2007 inizia una guerra tra soci che sfocia in un’inchiesta della procura di Forlì che ne decreterà poi il commissariamento e la conseguente morte. Nonostante i molti anni trascorsi, i procedimenti giudiziari sono ancora lontani dal chiarire alcuni punti oscuri. Uno chiave, è la centralità del socio di minoranza di Delta, la Sopaf, finanziaria dei fratelli Magnoni.

 

Secondo Patalano non si può negare il protagonismo di Sopaf sia nei conflitti determinatisi in seno alla compagine sociale di Delta sia nella persecuzione della teoria accusatoria di una eterodirezione del gruppo e degli accordi conclusi con la Cassa di Risparmio di San Marino. “Nel giugno 2007, esplosi gli attriti in Delta, i Magnoni incontrarono i vertici di Banca d’Italia, cui rappresentarono le proprie preoccupazioni in ordine alla presunta influenza dominante esercitata dalla Cassa sammarinese sul gruppo, ipotesi poi rafforzata dall’esposto trasmesso a Via Nazionale nel successivo mese di novembre”, si legge. Patalano presenta come “singolare” coincidenza il fatto che “le principali istituzioni interpellate, Banca d’Italia e magistratura inquirente ricalchino nei successivi provvedimenti quelle ipotesi”, ovvero quelle fornite dai Magnoni, si deve dunque dedurre considerati credibili dalle Autorità – Ruggero, Aldo e Giorgio sono stati arrestati nel 2014 per la bancarotta fraudolenta di Sopaf. Più che una singolare coincidenza – qui sta l’essenza dell’opera  – si parla di un malfunzionamento del sistema. Senza adombrare una macchinazione ordita da un’organizzazione à la Spectre – che avrebbe dovuto avere tra i suoi fini quello assurdo di azzerare un’impresa da mille dipendenti – s’avanza il dubbio che la fine di Delta sia stata determinata da una serie di concause tra cui, quella fondamentale, di una sintonia tra la Vigilanza bancaria e la magistratura che sembra oltrepassare i limiti della naturale collaborazione.

 

Si arriva alla paradossale conclusione di una vicenda per cui una banca in salute finisce distrutta mentre i media suonano la grancassa. E muore non per il grave reato di riciclaggio – per cui s’è sollevato un polverone e nel quale non era coinvolta – ma per l’imputazione di presunto ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’Autorità di vigilanza e abusiva attività bancaria. Una trama che può ricordare il recente caso di Banca Etruria. Una banca quotata in Borsa, finita in risoluzione e poi venduta assieme ad altri istituti, quelli che hanno assaggiato una pseudo procedura di bail-in a fine 2015. I vertici di Etruria erano accusati di aver occultato perdite e ostacolato la Vigilanza, quando la banca già rispondeva al regolatore. Le accuse sono crollate il 30 novembre scorso quando il giudice di Arezzo ha respinto le ipotesi di reato avanzate dalla procura liberando dalle accuse gli amministratori, assolti. Il caso Etruria s’è sgonfiato in un silenzio pari al clamore con cui era iniziato. Clamore attorno al padre dell’allora ministro renziano Maria Elena Boschi, Pierluigi, consigliere in vista della banca, non indagato. Il caso Delta solleva dubbi su un cortocircuito di poteri e funzioni che, dice Patalano, “è emblematico delle possibili criticità di funzionamento del sistema economico, relazionale e istituzionale del nostro paese”. Il caso Delta non pare un caso.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.