La bufala dell'inquinamento killer che uccide più delle guerre

Alberto Brambilla
La grancassa mediatica rispolvera lo slogan lanciato a maggio dall’Onu: “Uccide più l’inquinamento delle guerre”. Con il corollario, da noi, neppure sottinteso: in un mondo un po’ grillino a chilometro-zero si vivrebbe di più.

Roma. La percentuale di anidride carbonica nell’atmosfera ha superato per la prima volta nel 2015 su base annua le 400 parti per milione, soglia già scavalcata episodicamente in passato e l’anno scorso alimentata dal Niño, il riscaldamento delle acque del Pacifico. Fin qui la notizia diffusa dalla World meteorological organization, con base sul vulcano Manua Loa (Hawaii). Siamo all’evidenza dei dati, che sarebbe bene studiare scientificamente prima di dare la colpa generica all’“inquinamento”, e quindi all’industria, alla globalizzazione, magari al progresso. Invece la grancassa mediatica rispolvera lo slogan lanciato a maggio dall’Onu: “Uccide più l’inquinamento delle guerre”. Con il corollario, da noi, neppure sottinteso: in un mondo un po’ grillino a chilometro-zero si vivrebbe di più.

 

Non è passato molto tempo da che la prima causa di morte erano carestie, sete e sottosviluppo quelle sì certe, ma la memoria è corta. Così, secondo uno studio Programma delle Nazioni unite per l’ambiente-Organizzazione mondiale della sanità nel 2012, “12,6 milioni di persone, pari al 23 per cento dei decessi globali, sono morte per patologie collegate agli alti livelli d’inquinamento”. Collegate come? Alcuni esempi: “Ictus, cardiopatie ischemiche, lesioni involontarie come incidenti stradali, tumori, malattie respiratorie croniche, malattie diarroiche, infezioni delle vie respiratorie, condizioni neonatali, malaria, lesioni volontarie come per esempio i suicidi”. Suicidi? Tutte le cardiopatie e gli ictus? Tumori? Diarree? Pare l’Oms risolva in un sol colpo problemi, dai tumori ai suicidi, che medicina e sociologia studiano da secoli. Poi, siccome le scorciatoie mediatiche producono effetti a cascata, ecco le ricadute per l’Italia, che secondo l’Oms ha il record europeo di morti “collegate”: 88.100. Delle quali però solo 8 mila sono attribuite direttamente all’inquinamento atmosferico, mentre nel conto ci sono, per esempio, “incidenti stradali superiori alla media mondiale”. A questo punto è meglio affidarsi all’Istat, i cui dati analitici risalgono al 2012, come quelli dell’Oms. Per tutti i tipi di malattie sono morte 401.481 persone. Ebbene, le patologie respiratorie croniche, come bronchite, polmonite e asma (e probabilmente, tra le altre, anche l’esposizione all’inquinamento) uccidono 21.842 persone.

 

Insomma i conti non tornano, ma dirlo non fa fico. La ricerca di un nesso di causa-effetto tra l’inquinamento e malattie gravi è praticamente impossibile ma pare il presupposto di alcuni procuratori della Repubblica per intraprendere azioni penali contro industrie pesanti che hanno un impatto nella zona in cui operano. La procura di Taranto a luglio 2012 decise di sequestrare parte dell’area a caldo dell’acciaieria Ilva perché secondo le perizie epidemiologiche di parte le emissioni superavano il livello indicato dall’Oms (20 microgrammi per metro cubo) che è una soglia ottimale alla quale tendere ma, dice l’Oms stessa, che sarà possibile rispettare in aree urbane e industriali solo tra molti anni a condizione che si realizzino incisivi interventi di riduzione delle emissioni. Nella Pianura Padana il livello d’inquinamento è superiore ai 50 microgrammi. Il limite di legge europeo (40 microgrammi) non è mai stato superato a Taranto, dove ci sono anche altri impianti oltre all’Ilva.

 

L’inquinamento dell’Ilva era visto dall’accusa come l’arma in mano a un’azienda killer, i cui vertici sono imputati di disastro ambientale nel processo penale iniziato alla Corte d’Assise di Taranto. Tuttavia in almeno sette sentenze del Tribunale civile tarantino le richieste di risarcimento di cittadini ritenutisi danneggiati dai fumi dell’Ilva sono state respinte. In una più recente il presidente della Terza sezione, Pietro Genoviva, ha ritenuto infondate le richieste risarcitorie (pervenute non per danni alla salute ma per il rischio di danni alla salute) e ha ricordato che un giudice si deve limitare al ruolo di “risolutore di conflitti e garante dei diritti normativamente tutelati” senza attribuirsi “in modo del tutto arbitrario, compiti di sociologo, economista, politico o, peggio, di improbabile ambientalista”. Una messaggio ai colleghi della sezione penale, forse.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.