L'economista Carlo Cottarelli e il ministro Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

L'Italia spende peggio di tutti al mondo. Cottarelli: "Esagerato ma non troppo"

Luciano Capone
La competitività italiana migliora di poco, ma più lentamente degli altri paesi, scivolando di una posizione, al 44esimo posto mondiale. Se l’Italia è dietro tutti i paesi sviluppati e dietro gran parte di quelli in via di sviluppo, molto dipende da una cattiva spesa pubblica.

Roma. La competitività italiana migliora di poco, ma più lentamente degli altri paesi, scivolando di una posizione, al 44esimo posto mondiale. Se l’Italia è dietro tutti i paesi sviluppati e dietro gran parte di quelli in via di sviluppo, molto dipende da una cattiva spesa pubblica, tra le peggiori al mondo, almeno secondo quanto riporta il World Economic Forum. Nell’ultimo Global competitiveness report vengono segnalati alcuni passi in avanti nella riduzione della percezione della corruzione (più 14 posizioni) e nell’efficienza del mercato del lavoro (più 17), ma il paese resta appesantito da tante palle al piede dell’apparato statale: “Le prestazioni del  settore pubblico restano scadenti, con una burocrazia pervasiva e un sistema giudiziario altamente inefficiente”. Tra i sottoindicatori utilizzati per valutare la Pubblica amministrazione, il dato più sorprendente lo fornisce quello sullo “spreco della spesa pubblica”, che misura quanto efficientemente vengano consumati i soldi dei contribuenti. In questa classifica l’Italia si posiziona al 130esimo posto su 136 paesi al mondo: dietro l’Ucraina e appena avanti a Yemen e Venezuela, è il peggiore tra i paesi Ue.

 

Dato che il valore deriva da un sondaggio tra esperti e non è quindi una misura oggettiva, è probabile che sia distorto da un’errata percezione. La spesa pubblica italiana è così inefficiente o si tratta solo di un luogo comune? Lo chiediamo a chi il tema lo conosce da vicino per averlo studiato in ogni piega, Carlo Cottarelli, direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale ed ex commissario governativo alla spending review. “C’è da dire che questi tipi di sondaggi di solito danno un quadro dell’Italia peggiore della realtà, forse perché ci piace lamentarci e denigrarci – dice Cottarelli al Foglio – Un esempio classico sono gli indici di percezione della corruzione, in cui l’Italia figura agli ultimi posti, ma la nostra posizione migliora notevalmente se si vanno a vedere indici meno soggettivi. Detto questo, sappiamo però che sulla spesa c’è un problema oggettivo, perché sicuramente non siamo tra i primi e forse neanche nella media dei paesi avanzati”.

 

Qui si parla di percezione, ma il problema è proprio che non riusciamo a misurare l’efficienza della spesa. “Quello che manca sono indici oggettivi per misurare la qualità dei servizi e della trasparenza della spesa. Il Regno Unito dalla metà degli anni 90 ha introdotto indicatori per valutare i programmi di spesa e gli obiettivi raggiunti a distanza di tempo. Questi indici sono poi la base per fare, ogni 2-3 anni, le spending review”. Da noi non si fa? “Con la riforma della legge di Bilancio del 2009 sono stati individuati degli indicatori, ma è una cosa molto pro forma. Sul piano delle riforrme per migliorare l’efficienza, i passi più avanzati sono stati fatti con l’accorpamento degli acquisti di beni e servizi in 34 soggetti aggregatori, mentre per quanto riguarda la riforma della Pa bisognerà vedere l’implementazione effettiva”. Il problema è che quando si propone un qualche indice per misurare e valutare le performance, nel settore pubblico si levano le proteste e si alzano gli scudi. “Per rendere un sistema più efficiente occorre misurare ciò che funziona per responsabilizzare il personale e premiare chi se lo merita. E ciò deve valere sia per i dirigenti sia per i dipendenti”.

 

Oltre a un problema di efficienza ne esiste anche uno di ampiezza dell’intervento pubblico? Se lo stato fa male tante cose, non è proprio perché ne fa troppe? “Non c’è dubbio che ci sia un problema di perimetro della spesa. Ci sono società partecipate locali che fanno cose che il privato potrebbe fare meglio. E’ chiaro che dove ci sono fallimenti di mercato deve intervenire il pubblico, ma spesso c’è un’opposizione ideologica a far entrare il privato in certi settori”. Sembra che passati i tempi più duri ci sia una tendenza del governo a spendere di più e in modo non proprio efficiente.

 

“E’ un problema non solo dell’Italia: si abbassano i tassi, si allentano i vincoli di bilancio e anche quelli della spesa. Ma con un debito così alto le criticità non sono superate, i tassi si alzeranno e fra tre anni cambierà la leadership della Banca centrale europea”. Siamo ancora sotto un “macigno”, come lei ha definito il debito pubblico nel suo libro, che potrebbe schiacciarci. Cosa bisogna  fare? “Con i tassi così bassi questo è il momento da cogliere per condurre un’azione incisiva sulla spesa, proseguendo nella riduzione del deficit. – dice Cottarelli – Ci sono ampi margini di risparmio e non bisogna pensare solo all’efficientamento, ma anche a ridisegnare il perimetro dell’intervento pubblico”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali